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Rovereto 1914-18. Lo sguardo inquieto degli artisti.

Troppo spesso noi Blogger di Storia dell’arte snobbiamo le mostre a carattere locale a favore dei grandi eventi di calibro nazionale. Abbiamo creduto per troppo tempo, sbagliando, che molti di questi eventi siano mostre di basso se non imbarazzante livello scientifico e (sempre se non siamo a conoscenza della loro esistenza, come spesso accade) ce ne disinteressiamo bellamente. Ad ottobre 2014 l’errore si stava per ripetere. Non certo per altezzosa ignoranza, ma per assoluta mancanza d’informazione.

Invitato, come ogni anno, dal Museo di Arte Contemporanea di Trento e Rovereto (meglio noto come MART) per la mostra “La Guerra che verrà non è la prima” (della quale ho già parlato qui) avevo realizzato uno stretto programma di appuntamenti  per una due giorni nella città trentina, che certo non prevedeva la visita a Palazzo Alberti Poja della Fondazione Museo Civico di Rovereto. Non avrei mai saputo, con mio grande dispiacere, dell’esistenza della mostra “Lo sguardo inquieto, Rovereto 1914-1918” se non fosse stato per la gentilissima Responsabile della Sezione storico-artistica della Fondazione comunale e curatrice della mostra: la dottoressa Paola Pizzamano.

Dopo le giuste e doverose presentazioni personali (che seguivano quelle realizzate via twitter) la dottoressa , prima di iniziare una visita guidata a porte chiuse, mi ha messo in guardia ridimensionando le mie aspettative. Ha sottolineato la differenza tra una mostra come quella del Mart (che avevo visitato poche ore prima e alle quale sarei tornato in serata per il vernissage ufficiale) e quella che stavamo per osservare nelle bellissime sale del settecentesco Palazzo Alberti Poja. “Gli obiettivi e i fondi per la realizzazione sono ovviamente differenti” mi disse e per l’ennesima volta stavo per cadere nell’errore di giudicare l’esposizione come una semplice “mostra satellite” al più importante evento ospitato nella sede museale poco distante.

Ma se i pensieri corrono e i giudizi preventivi si sprecano, sono i fatti e le persone come la dottoressa Pizzamano a stravolgerti completamente. Con una preparazione enorme e con una gioia e amore unici verso il proprio lavoro, materia e museo, Paola Pizzamano in poco più di un ora mi ha aperto gli occhi su un aspetto straordinariamente interessante come la storia e la storia dell’arte locale sempre sanno essere.

1964914_10205024126513045_7297651746635427636_nAllo scoppio del primo conflitto mondiale, nel 1914, la piccola Rovereto si presentava coma una cittadina culturalmente vivace, artisticamente attiva e politicamente impegnata, forte anche di un sistema scolastico particolarmente avanzato, che dimostra e testimonia un ruolo non certo marginale anche rispetto alla vicina Trento (come spiega Alessio Quercioli nel bel saggio presente in catalogo). Dalle scuole roveretane “erano usciti anche quei giovani che, studenti a Innsbruck, Graz o Vienna oppure a Firenze, Torino, Milano o in altre città del Regno, animati da una forte passione nazionale, anticiparono con le lotte e le proteste per l’Univeristà italiana in Austria termini, modalità e parole d’ordine delle radiose giornate del maggio del 1915”.

All’inizio della “calda” estate del 1914 Rovereto rimase scossa dalle notizie provenienti da Sarajevo, dall’ultimatum alla Serbia e infine dello scoppio della guerra e già a dicembre dello stesso anno la città si rese conto di essere sul confine di quella guerra d’Italia che risultava essere ormai ineludibile. La città, allora in suolo austriaco ma moralmente già italiana, venne sfregiata ancora prima che i scoppiassero i primo colpi di fucile quando le truppe austriache, per bloccare in anticipo l’esercito italiano proveniente da sud, decisero “di distruggere tutti i fabbricati a sinistra del Leno e di minare i quattro ponti che attraversavano il torrente cittadino” (Duccio Dogheria) Ma le distruzioni del 14 furono solo l’inizio di una serie di drammatici eventi che culminarono il 26 maggio del 1915 quando il governo austriaco ordinò l’evacuazione totale  della città e dei comuni limitrofi. 22.500 persone dovettero abbandonare la città utilizzando i treni appositamente preposti allo scopo, ad esclusione di un centinaio di persone tra medici, pompieri, sacerdoti, macellai, operai, elettricisti e amministratori comunali. L’11 agosto anche questi ultimi vennero trasferiti insieme all’ospedale civile e Rovereto venne definitivamente abbandonata, “trasformata in un luogo deserto, in un simulacro di città abitato solamente da soldati e soggetto a bombardamenti e a requisizioni che assomigliavano molto a razzie“.

A Rovereto, oramai una città dove non si incontra più nessuno, dove “puzza di cose abbandonate esce da tutte le porte” (come racconta Giulio Cazzanelli, uno degli ultimi a lasciare la città), si anticipa, e le foto del Museo Storico Italiano della Grande Guerra e dalla Biblioteca civica “Girolamo Tartarotti” presenti in mostra lo dimostrano, il dolore straziante delle città distrutte e sfregiate, che credevamo tipico solo della Seconda Guerra Mondiale.

La guerra, da sempre immaginata relegata alle sole trincee, dimostra a Rovereto tutta la sua mortale potenza distruttiva. E le persone, i cittadini roveretani e le loro storie, diventano quindi oggetto di una mostra che propone una sorta di “diario di guerra”: il percorso espositivo ricompone, in un mosaico di immagini, il volto straniato di una città “negata” in cui si è insediata la guerra, e di un territorio quotidianamente ferito, svuotato dei suoi abitanti, ripopolato di gente in uniforme.

Roberto Marcello "iras" Baldassari, Treno dei feriti - sintesi lineare e cromatica, 1918, FMCR, pin. 1638

Roberto Marcello “iras” Baldassari, Treno dei feriti – sintesi lineare e cromatica, 1918, FMCR, pin. 1638

E a raccontarci quei concitati giorni non vi è solo l’allora moderna e innovativa fotografia, forse ancora priva di potenza emotiva, ma anche (e direi soprattutto) lo sguardo addolorato e per l’appunto inquieto degli artisti. “Fortunato Depero, Iras Baldessari, Piero Coelli, Francesco Trentini, Mario Sironi, Giovanni Moschini, Umberto Maganzini, Giorgio Wenter, Luigi Bonazza, Carlo Cainelli, Giovanni Tiella, Ernesto Armani, Gustavo Borzaga, Hans Lietzmann, Elio Valentinelli, Gino Barbieri, Oddone Tomasi, Luigi Dalla Laita, rievocano la vita dei soldati, dei feriti, degli sfollati e internati di Mittendorf e di Katzenau: dell’apocalisse.”

Guidati dalla sapiente curatela di Mario Cossali, Paola Pizzamano, Alessio Quercioli e Maurizio Scudiero il visitatore è accompagnato alla scoperta di un clima culturale mai banale e provinciale. Partendo dalle sculture ancora potentemente ottocentesche di Carlo Fait come il busto di Clementino Vannetti (1754-1795) per il monumento inaugurato nel 1908 davanti all’allora Accademia degli Agiati (ora sede della Cassa di Risparmio), si arriva alle opere giovanili di un Depero ventunenne, che appena tornato da Roma dove ha conosciuto Balla e Marinetti,  inneggia alla morte dell’Austria nel verso della sua cartolina: “La guerra-Bomba-fervore-patriottico” del 1915. Insieme a loro sono esposti anche i meno conosciuti disegni dell’architetto Giovanni Tiella, mandato sul fronte russo e impegnato come disegnatore tecnico o quelli più drammatici di Piero Coelli, rappresentanti le baracche del campo di Katzenau dove venne internato dal 1915 al 1918 o quelli emozionanti di Ernesto Giuliano Armani, nipote dell’incisore Basilio Armani e straordinario ritrattista dei suoi compagni di trincea.

“Il percorso espositivo si configura sempre più come uno sguardo ravvicinato sulle testimonianze di chi vide la guerra da spettatore, di chi invece la visse, di chi morì al fronte, di chi documentò, di chi fu prigioniero, di chi s’impegnò per l’affermazione di ideali patriottici. Nei dipinti, nelle stampe propagandistiche, nelle fotografie, negli oggetti riaffiora così un universo costituito di ideali, di impegno, di patriottismo, di speranza, di dolore, di desolazione, di morte, ma anche di affermazione della cultura e dell’arte come strumenti di documentazione, di progettazione, di vita.” (P. Pizzamano)

La mostra di Rovereto non è assolutamente una mostra satellite di quella certamente più grande del MART, ma un nuovo tassello (prova di ciò è anche il piccolo ma delizioso e davvero ben fatto catalogo) di uno studio memorabile in occasione dell’anniversario della Grande Guerra. La Fondazione del Museo Civico di Rovereto, in controtendenza rispetto alle amministrazioni comunali italiane, sta investendo nella cultura, realizzando un polo espositivo serio, accompagnato da laboratori di restauro e centri di ricerca che forniscono ad una cittadinanza sempre partecipe, mostre di alto livello come questa.

Non si ricerca obbligatoriamente e pedissequamente un grande pubblico, non si vuole organizzare delle mostre evento. Ben lontani da ciò la dottoressa Pizzamano e i suoi colleghi lavorano seriamente e con una dedizione ammirabile e commuovente, a ciò che rende viva e utile la Storia e la Storia dell’arte: la ricerca.

A presto


P.S. i miei più grandi ringraziamenti alla già citata dottoressa Pizzamano, che con somma gentilezza mi ha accompagnato nelle sale dell’esposizione, prima ancora dell’apertura ufficiale al pubblico, facendomi da guida in una mostra deliziosa. Alle stessa chiedo anche scusa per il vergognoso ritardo di questa mia recensione.

 

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