Giovanni dal Ponte. Protagonista dell’umanesimo tardogotico fiorentino: è questo il titolo della mostra che si è aperta il 22 novembre scorso e che proseguirà fino al 12 marzo alla Galleria dell’Accademia a Firenze, curata da Angelo Tartuferi e Lorenzo Sbaraglio.
Visitare questa mostra è una grande occasione: si tratta infatti della prima mostra monografica su Giovanni di Marco, meglio noto come Giovanni dal Ponte dal luogo in cui era ubicata la sua bottega nei pressi di Santo Stefano al Ponte, a Firenze. Un artista interessante a cui, però, gli studi specifici si sono poco soffermati; proprio questo è il movente principale che ha spinto i curatori alla creazione di questa mostra: ricollocare all’interno del proprio ambiente la figura poco nota di questo artista, al quale va riconosciuto sicuramente un ruolo non secondario nel panorama del tardogotico fiorentino.
L’allestimento è altamente scenografico: le opere, esposte su uno sfondo di velluto nero, risaltano particolarmente con i propri fondo oro; la mostra offre la possibilità di uno studio ravvicinato dell’opera d’arte, esposta ad un’altezza che consente un’ottima visibilità, permettendo di coglierne gli elementi distintivi: tutto ciò favorisce i confronti tra le varie opere. Oltretutto è un’occasione imperdibile per poter godere di eccezionali opere in prestito, non solo dall’Italia ma anche dai maggiori musei esteri.
La prima sala dell’esposizione riunisce in modo emblematico gli artisti che vanno a creare il contesto in cui si forma, e a cui guarda, Giovanni dal Ponte: Lorenzo Ghiberti, Paolo Uccello, Beato Angelico, Masolino da Panicale, Lorenzo Monaco e Masaccio, la cui conoscenza sarà fondamentale per l’evoluzione del suo linguaggio. A questi si aggiunge Gherardo Starnina, forse l’artista che più influisce sul linguaggio giovanile del nostro artista, e qui presente in mostra con il Polittico di Würzburg: si tratta di un’opera eseguita dopo il soggiorno in Spagna e che riflette le esperienze maturate dallo Starnina a contatto con gli artisti iberici.
Come danno a vedere le opere giovanili di Giovanni dal Ponte presenti in mostra e databili agli anni 1405-1410 (o addirittura anche prima – come ipotizza Lorenzo Sbaraglio nel saggio che apre il catalogo – per via di quel gusto acerbo e sperimentale che non si ritrova poi nelle opere successive), in particolare le due Madonna dell’umiltà rispettivamente del Museo Horne e della sagrestia della chiesa di San Niccolò Oltrarno, e ancora una terza in collezione privata a Londra, di poco successiva, Giovanni dal Ponte assimila alcuni elementi propri del linguaggio starniniano; l’interesse per i colori accesi e il vivace cangiantismo (in alcune opere, soprattutto più avanzate, raggiunge livelli davvero straordinari), le lumeggiature semplificate, ottenute con pochi tocchi di pennello, per accentuare alcune parti del viso come la canna nasale. Osservando queste prime opere, oltretutto, si percepisce il linguaggio di un artista non ancora maturo e soprattutto alla ricerca di una propria stabilità stilistica.
Si ha l’impressione, infatti, che le opere non godano tutte della stessa qualità: si può passare da dipinti in cui il livello qualitativo è molto alto ad altri in cui raggiunge la trascuratezza. Non c’è da stupirsi vista la mole di opere che uscì dalla bottega del pittore (nel regesto delle opere ne sono riportate 93). Mi trovo però in disaccordo con Angelo Tartuferi, il quale, nella scheda n. 29 dedicata ai due sportelli di un tabernacolo rappresentanti San Giuliano e San Giovanni Battista, scrive che questa stesura pittorica, quasi sommaria e frettolosa che contraddistingue a più riprese l’intero percorso di Giovanni dal Ponte non deve essere letta come un fattore negativo ma come un senso di spiccata originalità. Leggendo quanto scrive ho come l’impressione che l’intento nobile di rivalutare un artista, pure interessante, porti qui a mascherare di originalità anche gli evidenti abbassamenti di stile.
All’interno di questo percorso altalenante però si possono distinguere dei dipinti che potrebbero essere la testimonianza di una precoce risposta alle novità rivoluzionarie portate a Firenze da Masaccio. Opera cardine per comprendere l’artista in questa sua fase “masaccesca” è il Polittico di San Pietro, e in modo particolare la predella conservata alla Galleria degli Uffizi, probabilmente la commissione più importante e impegnativa che il pittore ricevette e in cui l’assimilazione del linguaggio masaccesco è davvero impressionante. Si tratta di un’opera che lascia ancora aperte varie questioni: in primis la cronologia dell’opera, dibattuta anche all’interno di questa mostra, ma anche le ipotesi di ricostruzione, provenienza e committenza del dipinto.
Per quanto riguarda la cronologia, il dibattito è incentrato intorno ad un’iscrizione che nel XVII secolo Stefano Rosselli leggeva sulla predella con una data indicante 1424.
Nel suo saggio, e nella rispettiva scheda di catalogo dedicata all’opera, Lorenzo Sbaraglio indica questa data come un errore di lettura in quanto contraddetta dall’evoluzione stilistica di Giovanni dal Ponte e, ipotizzando un avvicinamento a Masaccio in maniera più progressiva, propone una datazione al 1430 ca. Lega l’opera al pontificato di Martino V Colonna, a cui sarebbe collegata la particolare iconografia della predella rappresentante San Pietro in cattedra come papa con i santi Ludovico e Prospero. Oltretutto, Sbaraglio offre una ipotesi nuova per la collocazione del polittico, la cappella di San Pietro a Santa Trinita a Firenze, ai cui affreschi opera sempre di Giovanni dal Ponte, documentati tra il 1429- 1432, si avvicinerebbe per motivi stilistici.
Angelo Tartuferi, invece, accetta la datazione al 1424 inserendola all’interno di un percorso artistico che è già partecipe dei principali cambiamenti artistici che accompagnano la nuova arte masaccesca (fondamentale su questo punto credo sia il saggio di Miklòs Boskovits, Appunti sugli inizi di Masaccio e sulla pittura fiorentina del suo tempo, in Masaccio e le origini del Rinascimento [catal., San Giovanni Valdarno], a cura di L. Bellosi, Ginevra – Milano 2002). Già nei bellissimi resti di affreschi nella Cattedrale di San Zeno a Pistoia, probabilmente la sua più antica testimonianza di pittura murale giunta fino a noi, un’accentuata volumetria dei corpi e una descrizione delle fisionomie dimostrano la grande capacità di Giovanni: Tartuferi lo rivaluta fortemente ponendo l’accento proprio su questa sua capacità ritrattistica (si vedano in mostra, ad esempio, i due donatori presenti nella pala con San Nicola in trono), che si colloca nella stessa linea di Masaccio, col quale si raggiungeranno i più alti esempi di viva quotidianità sulle pareti della Brancacci e nascerà il ritratto rinascimentale, con la raffigurazione del committente nella Trinità a Santa Maria Novella.
Tartuferi dà quindi credibilità alla lettura della data 1424: se questa data venisse confermata ci troveremmo davanti ad una personalità che dimostra una capacità insuperata nella ricezione del linguaggio di Masaccio.
È interessante, per una possibile risoluzione del problema, il saggio di Annamaria Bernacchioni all’interno del catalogo: il suo studio infatti, condotto sulla committenza che è entrata in contatto con Giovanni dal Ponte e su un’interessante interpretazione della problematica iconografia della predella con San Pietro in cattedra, sembrerebbe confermare la datazione anticipata del polittico.
Nota dolente di questa mostra è il catalogo. Il volume, pubblicato da Giunti, si presenta sottile ed elegante con una copertina nera con le lettere dorate incise, quasi volesse essere un omaggio all’allestimento museale. La direttrice del museo Cecilie Hollberg, nella prefazione, scrive però: “ho voluto innovare il catalogo con una linea editoriale nuova, con testi più brevi che però non compromettono il rigore scientifico di cui si è sempre potuto vantare questo museo.” La brevità dei testi, quindi, sembra una linea dettata dall’alto: tutto ciò rende quella che poteva essere un’occasione unica di studio qualcosa di mediocre.
La scelta dei saggi invece mi è sembrata interessante: Sbaraglio e Tartuferi hanno trattato l’attività di Giovanni dal Ponte dal punto di vista stilistico presentando, come abbiamo già visto, un’ipotesi di datazione contrapposta per un’opera cardine e creando così una possibilità di riflessione sull’artista. Si è scelto poi di inserire due saggi iconografici: uno ripercorre il soggetto dell’Annunciazione mostrando come anche Giovanni dal Ponte si rifacesse ai testi sacri per lo sviluppo delle proprie iconografie, mentre l’altro si concentra sull’iconografia musicale nelle opere dell’artista. Ed infine un saggio sui committenti che ruotavano attorno al nostro artista, studio importante anche per la datazione e la provenienza di alcune opere.
Deludenti sono però le schede, quasi sempre scarne, che vanno a completare il catalogo: tranne qualcuna, come ad esempio quella di Emanuele Zappasodi sul polittico di Würzburg di Gherardo Starnina in cui lo studioso offre un’importante ipotesi di ricostruzione, poche altre possono considerarsi delle schede con un alto valore scientifico.
Nonostante ciò, proprio la scarsissima bibliografia che ruota intorno a Giovanni dal Ponte rende indispensabile l’acquisto di questo catalogo in cui si trovano riprodotte, seppur in piccolo formato, tutte le sue opere conosciute, le ipotesi di ricostruzione dei vari polittici e i documenti finora conosciuti sull’artista. Dunque, lo studio di Giovanni dal Ponte non può fare a meno di questo testo.