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Le luminose Notti di Gherardo

È agli Uffizi, fino al 24 maggio 2015, la straordinaria mostra monografica dedicata a Gerrit van Hontorst -Gherardo delle Notti, in italiano, e poche volte l’origine di un soprannome è mai stata così palese.

Mostra straordinaria, innanzitutto, per essere la prima esibizione interamente dedicata al Maestro di Utrecht. Straordinaria, poi, per la vastità e la varietà delle opere proposte, per i confronti puntuali con i maestri coevi, per la precisa ricostruzione del contesto all’interno del quale Gerrit von Honthorst si muove: quello della pittura “a lume di notte”, di nascita caravaggesca ed italiana, fatta di ambienti vivaci e movimentati (le “cene bizzarrissime ed allegre”, per l’appunto), illuminate da un’unica fiamma: quella di una candela, spesso solitaria.

Gherardo -come lo si chiamò-, caravaggista, influenzato per tutta la vita da quel viaggio a Roma che lo condurrà ad esplorare quella che ancora ad oggi definiamo pittura di genere sotto ad una luce nuova.

E che cos’è, questa luce di Gherardo? Una candela, una fiamma, artificiale ed artificiosa, che invece di perdersi nel buio della notte strappa uomini, donne, bambini ed animali dall’abbraccio dell’oscurità, allestendo su di un palcoscenico le loro esistenze a volte caotiche e a volte drammatiche, ma sempre, inequivocabilmente -ed in quanto esistenze-, vive.

E sono indubbiamente messinscene, le sue. Coscienziosamente costruite e progettate, ma non per questo meno vere della vita stessa. (E, in fondo, non era forse lo stesso Caravaggio il più abile degli scenografi?)

Gerrit van Hontorst nacque ad Utrecht nel 1592, e cominciò la propria formazione artistica dapprima presso il padre, pittore di genere, ed in seguito presso la bottega di Abraham Bloemaert, artista a cui erano ben note le variegate forme del manierismo italiano, soprattutto grazie ad un soggiorno giovanile nei pressi di Fontainbleau. Il viaggio in Italia, di cui brevemente era stato accennato poco sopra, e che tanta parte avrà nel plasmare il temperamento artistico del giovane olandese, risale probabilmente al primo decennio del XVII secolo. La Roma che si presentava allora agli occhi dell’artista, ancora esordiente, era la Roma di Paolo V Borghese, la Roma delle vestigia classiche ormai in rovina, e, soprattutto, la Roma di Caravaggio. Sebbene van Hontorst fosse solo all’inizio del proprio percorso artistico, le occasioni per mettere alla prova non mancarono, così come non mancarono i patroni influenti ed oculati. Non è infatti casuale il legame dell’artista con Firenze, né è un caso che siano stati proprio gli Uffizi il contenitore designato ad ospitare questa prima ambiziosa monografia dell’artista fiammingo: tra i nomi illustri che nel corso del soggiorno italiano si associarono alla sua persona, infatti, si deve senza ombra di dubbio citare Cosimo II de’ Medici, granduca di Toscana e profondo estimatore della pittura di Gherardo.

Gerrit van Honthorst - (Gherardo delle Notti) (Utrecht 1592 - 1656) Cena con suonatore di liuto 1619-1620 Olio su tela Firenze, Galleria degli Uffizi

Gerrit van Honthorst – (Gherardo delle Notti)
(Utrecht 1592 – 1656)
Cena con suonatore di liuto
1619-1620
Olio su tela
Firenze, Galleria degli Uffizi

Il rientro dall’Italia lo si colloca all’inizio del secondo decennio del XVIII secolo, e vede un Hontorst pienamente inserito all’interno di una corrente pittorica -quella del naturalismo caravaggista- che tanto successo gli garantirà negli anni a venire. 
Fedele all’impronta ricevuta a Roma, ma non per questo costantemente uguale a se stesso: con il ritorno in Olanda la tavolozza di Gherardo si schiarisce e si vivacizza, (come è ben esemplificato da una serie di dipinti presentati nella seconda parte della mostra, tra cui Susanna e i Vecchioni, opera della piena maturità dell’artista, e L’allegro violinista con bicchiere di vino, datato al 1523).

Oltre a quello stretto con l’Italia, un altro forte legame fu quello che van Hontorst stabilì con l’Inghilterra: tra i suoi patroni, il più eccellente fu senza dubbio Carlo I Stuart, che lo nominò insegnante di disegno dei propri figli.
Un pittore alla moda, quindi, popolare ed influente, che aprì scuole di pittura e che godette per tutta la vita della protezione di importanti patroni. Uno stile inconfondibile, teso tra il nord ed il sud dell’Europa, assoluto specchio del proprio tempo.
Dalle storie sacre, in cui il Cristo, vera luce del mondo, compare trasfigurato e fatto carne per la salvezza dell’uomo, come nell’Adorazione del bambino (1619), alle taverne in cui si incontrano bari, e suonatori, e cappelli eleganti, la pittura di Gherardo è descrittiva al punto di diventare narrativa. È vivace, puntuale, coinvolgente tanto nel sacro (dove è al chiaroscuro che viene lasciato il compito di infondere nello spettatore tutto il senso della pietà religiosa barocca), quanto nel profano, dove fa la propria comparsa sulla scena una straordinaria parata di tipi umani.

La mostra, completa ed esaustiva grazie alle decine di opere del Maestro fatte giungere dai musei di tutto il mondo, e ancor di più grazie ad altrettanti confronti puntuali con artisti coevi ( tra gli altri, Abraham Bloemaert, maestro di von Honthorst, Francesco Rustici, Trophime Bigot e l’immancabile Caravaggio, qui esposto con il Cavadenti), centra con precisione l’obiettivo che si era proposta: offrire uno sguardo completo su di un autore che fino ad oggi non aveva ancora ottenuto adeguato riconoscimento all’interno del panorama artistico della Roma barocca. Assieme a Gherardo si muove tutta una serie di giovani pittori che hanno in Caravaggio, e nei suoi chiaroscuri, i propri punti di riferimento: si parla di Bartolomeo Manfredi, Dirck van Baburen e Hendrick Terbrugghen, le cui opere dialogano con quelle di von Hontorst, e disegnano un quadro completo di un preciso momento dell’arte italiana.

Snodandosi da una fase giovanile ancora fortemente legata al crudo realismo dell’arte nordica, e proseguendo attraverso un’accurata selezione delle opere più mature, l’esibizione conduce lo spettatore in un viaggio in cui la pittura di Gherardo è un ponte che lega il Nord ed il Sud dell’Europa, l’Italia e le Fiandre. La materia esposta è varia e variegata: si passa dalle opere di devozione, sia privata che pubblica (di quest’ultima sono testimoni le tre pale d’altare realizzate durante il soggiorno in Italia), alle scene di convivio legate ad una committenza signorile (lo stesso Cosimo II De’ Medici fu, tra gli altri, ammiratore e mecenate di Von Honthorst), alla produzione realizzata in terra olandese dopo il ritorno dell’artista dall’Italia.

Mostra di qualità non solo per la varietà del materiale proposto, ma anche per la scelta di porre il dipinto L’adorazione dei pastori come momento centrale dell’intera esposizione. La tela, drammaticamente rovinata in seguito all’attentato mafioso che colpì gli Uffizi nel 1993, prende nuovamente vita davanti agli occhi dello spettatore attraverso una serie di videoproiezioni che, muovendosi su di essa e sui muri circostanti, ne riportano in luce l’originale bellezza. Tecnologia messa al servizio dell’arte, con un intento che va bene al di là della pura e semplice filologia. La tela è destinata a riprendere il proprio posto all’interno degli Uffizi, elevata a simbolo di una duplice tendenza dell’animo umano: quella di distruggere, e quella di preservare.


FOTO DI COPERTINA: Gerrit van Honthorst – (Gherardo delle Notti), Utrecht 1592 – 1656, Gesù nella bottega di san Giuseppe, 1617-1618, Olio su tela, San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage


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