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La favola ragionata di Piero di Cosimo.

Tornare a Firenze è come visitare, senza mai esserne stanca, l’esposizione del momento più alto e più efficace della creatività nostrana, capace di trasformarsi, finalmente, in quel linguaggio universale che ancora oggi non smette di ricordarci, nonostante la poca propensione all’ascolto, la propria forza.

In alcuni passi, tanti quanti sono a dividere Santa Maria Novella dalla Galleria degli Uffizi, s’incontrano l’invenzione architettonica di Alberti e Brunelleschi, la rivoluzione scultorea di Ghiberti e Donatello, i fautori e precursori del cambiamento: Giotto e Arnolfo. Un paradiso per l’amante del Rinascimento. Questa volta a spingermi a Firenze è l’incontro con chi è riuscito ad appropriarsi pienamente della rivoluzione quattrocentesca tanto da valicarne i limiti, contaminarne i soggetti, creare una produzione particolareggiata e personale che mai, però, diventa aliena: Piero di Cosimo.

La mostra: “Piero di Cosimo 1462 – 1522. Pittore eccentrico fra Rinascimento e Maniera” allestita nello spazio espositivo degli Uffizi, diretta da Antonio Natali e curata da Elena Capretti, Anna Forlani Tempesti, Serena Padovani e Daniela Parenti, si propone, insieme all’evento fratello (ma non gemello) organizzato alla National Gallery di Washington, di ricostruire l’opera dell’artista fiorentino cercando di rilevare come il suo carattere eccentrico ben si amalgami con la cultura dell’età medicea.

L’esposizione, indubbiamente animata da fervore scientifico, si presenta composta in nuclei tematici, purtroppo non sempre lineari e ben collegati tra loro, in grado di accompagnare il visitatore, che com’è giusto che sia per un evento con queste prerogative e finalità deve essere, almeno in parte, un conoscitore.

Piero di Cosimo (Firenze 1462 – 1522), La caccia, 1494-1500 circa, Dipinto su tavola trasferito su masonite, New York, The Metropolitan Museum of Art, Dono di Robert Gordon

Piero di Cosimo (Firenze 1462 – 1522), La caccia, 1494-1500 circa, Dipinto su tavola trasferito su masonite, New York, The Metropolitan Museum of Art, Dono di Robert Gordon

Nell’avanzare tra le tredici sale ci si abbandona a un vero e proprio approccio con Piero, che ci permette di conoscere le sue origini artistiche, la sua formazione culturale, i rapporti con la committenza fiorentina e toscana in genere, il legame con l’arte fiamminga fino ad arrivare alla produzione più intimistica. Il tutto corredato da un buon catalogo che nei suoi saggi giustifica le attribuzioni, le datazioni, proponendone alcune veramente interessanti, e rivaluta la figura non solo dell’artista ma anche dell’uomo spesso e purtroppo bistrattata dalle fonti, Vasari in testa.

Il tutto è ben coadiuvato dall’espediente del confronto tra i brani pittorici, tra i diversi artisti, tra i differenti gusti della committenza e tra il rapporto della personalità di Piero con l’antichità classica.

Le prime sale ci introducono nel periodo di vicinanza, giacché sembra improprio parlare a quest’epoca (siamo nei primi anni Ottanta) di apprendistato, con Cosimo Rosselli; il ventenne Piero si distingue già per i colori cangianti, l’originalità delle forme e delle pose e il modo di comporre il paesaggio come nella Madonna con il Bambino e i santi Onofrio e Agostino o la Pala di Montevettolini.

Piero di Cosimo (Firenze 1462 – 1522), Il ritorno dalla caccia, 1494-1500 circa, Tavola, New York, The Metropolitan Museum of Art, Dono di Robert Gordon

Piero di Cosimo (Firenze 1462 – 1522), Il ritorno dalla caccia, 1494-1500 circa, Tavola, New York, The Metropolitan Museum of Art, Dono di Robert Gordon

La fecondità artistica della Firenze medicea è lo specchio di quella borghesia che ambisce e raggiunge i lussi della vita aristocratica, e l’Arte è il più ricercato; il connubio tra committente e artista, pittore o letterato che sia, spesso realizza a opere di qualità sublime ma, nel caso di Piero di Cosimo, favorisce la nascita di pezzi straordinariamente unici. Dal rapporto con la famiglia di Pietro del Pugliese, nascono le cosiddette Storie dell’umanità primitiva (esposte nella sala IV); create in occasione del matrimonio nel 1485 tra Francesco del Pugliese e Alessandra Bonsi celebrano (rielaborando il V libro de il De Rerum Naturae di Lucrezio con Ovidio e Diodoro Siculo), la liberazione dell’umanità dalla ferinità e l’approdo allo sviluppo delle competenze tecnologiche. La mostra tenta di ricostruirne l’intero ciclo presentando fisicamente sia La caccia, Il ritorno dalla caccia e La costruzione di un edificio, sia (grazie a supporti grafici di buona fattura) L’incendio nella foresta e La battaglia tra centauri e lapiti.

Piero di Cosimo (Firenze 1462 – 1522), La costruzione di un edificio, 1490 circa, Tavola, Sarasota (FL), The John and Mable Ringling Museum of Art

Piero di Cosimo (Firenze 1462 – 1522), La costruzione di un edificio, 1490 circa, Tavola, Sarasota (FL), The John and Mable Ringling Museum of Art

Per casa Vespucci nascono invece Le storie di Sileno (sala XI); più tarde perché datate intorno al 1500-1505 e dislocate alla fine del percorso espositivo per motivi di complessa cronologia, sono animate dalla stessa ricerca dell’episodio mitologico inusuale e dalla elemento ironico.

La ricerca iconografica è una delle peculiarità della produzione di Piero; tale aspetto viene più volte richiamato e utilizzato soprattutto per rilevare come la sua eccentricità fosse, al contrario, ben inserita nel panorama contemporaneo. Qui, a mio parere, s’incontra il collegamento più debole dell’esposizione. Se il tema del San Girolamo (sala VII) ben si inserisce nel discorso della fermento culturale fiorentino che la rende innovativa grazie alla riscoperta e pubblicazione delle Lettere apocrife del Beato Eusebio e alla predicazione del Savonarola, diversa sorte ha la creazione di un nuovo schema, la cosiddetta Madonna con il piccione (sala VI) presentato in un contesto dedicato alla meditazioni, insieme quindi ad opere come Ritratto di San Giovanni a Patmos o a quello di Santa Maria Maddalena, senza che la portata di tale innovazione, che quasi sconvolge il modo di rappresentare il simbolo dello Spirito Santo, venga effettivamente rimarcata.

La sezione dedicata alle pale d’altare poi (sala VIII), probabilmente la più potente e quella in grado di coinvolgere maggiormente chi guarda, non fa altro che confermare la capacità di Piero di inserirsi nell’ambiente contemporaneo portando rinnovamento, culminato nel Volto Santo di Lucca (caratterizzato dal paesaggio e dalla mistica fiamming) e nell’Incarnazione di Gesù e i santi Filippo Benizi, Giovanni Evangelista, Caterina d’Alessandria, Margherita, Pietro e Antonino, un testo straordinario con la figura della Vergine in attesa al centro già sistemata su un sarcofago, ancora chiuso, il cui rilievo monocromo dell’Annunciazione si collega alle scene della Natività e della Fuga in Egitto dipinte sullo sfondo esotico.

Tutto ciò è ben percepibile grazie al confronto con le opere coeve e per lo più a stesso soggetto di Cosimo Roselli e Filippino Lippi. Satiro che piange la morte di una Ninfa, eccezionalmente prestato dal museo londinese, è probabilmente il testo in cui prevale l’attenzione di Piero per la ricerca di un episodio mitologico poco ricorrente e soprattutto per la rappresentazione psicologica e intimistica. Umani affetti che sono raccontati nelle tele raccolte nella decima sala, dove si mostra come il ritorno a Firenze nel 1501 di Leonardo, da cui traeva maggiori ispirazioni, preferendolo a Raffaello e Michelangelo, segna, appunto, la conferma dell’interesse di Piero per la poetica degli affetti, come nella Madonna col Bambino e due angeli.

Piero di Cosimo (Firenze 1462 – 1522), Satiro che piange la morte di una ninfa, 1495-1500 circa, Tavola, Londra, National Gallery

Piero di Cosimo (Firenze 1462 – 1522), Satiro che piange la morte di una ninfa, 1495-1500 circa, Tavola, Londra, National Gallery

Non può mancare il confronto con l’arte fiamminga sulla ritrattistica; Il ritratto di uomo di Hans Memling è avvicinato al Ritratto di Giuliano da Sangallo, al Ritratto di Francesco Giamberti e a uno splendido San Giovanni Evangelista in cui la nordica attenzione ai dettagli si fonde con l’attrazione verso la particolarità del soggetto.

La mostra si termina con lo studio delle affinità stilistiche e di forma tra Piero di Cosimo e Ridolfo del Ghirlandaio, spesso sovrapposti l’uno all’altro e con la presentazione di due tavole, Lo sposalizio mistico di Santa Caterina d’Alessandria con San Giovanni Battista, santa Maria Maddalena e san Sebastiano e il Polittico di San Vincenzo Ferrer, recuperati e ancora in fase di restauro.

Il tutto è accompagnato da un’ampia sezione di grafica che, sala dopo sala, avvicina lo spettatore alla produzione grafica di Piero rivalutandola, errore della storiografia è stato, infatti, quello di considerare nullo l’esercizio di disegnare quando, invece, questo strumento è stato utilizzato dall’artista in modo diverso e innovativo.

Il carattere scientifico della mostra è ben supportato dai saggi presenti in bel (ma costoso) catalogo, edito da Giunti, che amplia tutti i soggetti espressi nell’esposizione grazie a dati scientifici, confronti stilistici, studio delle fonti letterarie e proposte cronologiche, attributive e stilistiche nuove o ampliamente riviste.

Interessante e degno di nota è il lavoro di esegesi che Alessandro Nova compie su tutte le fonti riguardanti Piero soffermandosi particolarmente sulla differenza tra le due edizioni delle Vite; se nella prima l’aretino dipinge un ritratto quasi di margine per il nostro artista, pressoché totalmente dimenticato dopo la morte, nella seconda sembra, in parte, apprezzarne le stravaganze; dalla descrizione di un lunatico si passa all’elogio di un personaggio carismatico, trai più rilevanti della sua generazione.

Lo studio della tecnica pittorica affrontato da Elizabeth Walmsley fa emergere come Piero fosse eccentrico anche nello stesso modo di utilizzare gli attrezzi del mestiere. È tratteggiata la figura di un pittore che sperimenta le sovrapposizioni di colori per creare la luce, utilizza pennellate particolari e non disdegna l’uso delle mani per creare gli incarnati. Altri saggi ne studiano la diffusione nelle collezioni medicee, l’apprezzamento avuto nel XIX secolo oltremanica (in particolare nell’ambiente preraffaellita), altri il suo rapporto con le fonti classiche, Lucrezio in testa, o con pittori come Filippino Lippi e Amico Aspertini.

Piero di Cosimo (Firenze 1462 – 1522), Madonna con Gesù Bambino, 1485-1490 circa, Tavola, Parigi, Musée du Louvre

Piero di Cosimo (Firenze 1462 – 1522), Madonna con Gesù Bambino, 1485-1490 circa, Tavola, Parigi, Musée du Louvre

Nel complesso l’esposizione fiorentina e il catalogo prodotto sono un importante mezzo per riaprire il capitolo su Piero di Cosimo basandosi su un discorso scientifico finalizzato a dimostrare come la sua eccentricità sia il frutto di tutti quegli stimoli, la riscoperta della classicità, l’incontro con l’arte fiamminga, la situazione politica e il fermento religioso della predica del Savonarola, che rendono cosi vitale l’arte rinascimentale. Lo stesso epiteto presente nel nome dell’evento, “Pittore eccentrico fra Rinascimento e Maniera”, costituisce la chiave di lettura di tutto il percorso, la cui pecca è, probabilmente, il contrasto tra la rigidità dell’ordine cronologico, dettato dalla voglia di rappresentare in toto il catalogo, e la varietà dei temi trattati che spesso non permette la linearità dei collegamenti tra i vari brani.

Di certo la possibilità di poter finalmente ammirare la grandezza di Piero nella sua città, grazie alla presenza di pezzi veramente dislocati in tutto il mondo (si fa un viaggio da Londra, a Honolulu, da Venezia a Washington) e di poterne ammirare la potenza dell’intera produzione vale, veramente, quanto la più preziosa delle occasioni.


FOTO DI COPERTINA: Piero di Cosimo (Firenze 1462 – 1522), Liberazione di Andromeda, 1510-1515 circa, Tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi


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