Che Donato Bramante sia uno di quegli artisti ed architetti con i quali è impossibile non scontrarsi, lo abbiamo capito fin dai primi studi storico artistici nella scuola secondaria superiore. La sua personalità poliedrica e innovatrice sembra essere il motore dell’inizio di una nuova epoca che (mai in maniera così precisa, come ci ricorda Frommel) coincide con l’inizio di un nuovo secolo: il Cinquecento.
Se fino ad allora gli architetti guardavano (ispirandosi) a Brunelleschi ed Alberti, ora Bramante e i suoi allievi, attivi nella Roma di Giulio II, sono i rappresentanti di un linguaggio nuovo diffuso gradualmente in tutta Europa. La pazienza innovatrice dell’ormai sessantenne di Monte Asdrualdo trova nella Roma papalina, dove era arrivato nel 1499 a seguito della caduta di Ludovico il Moro, il luogo di massima espansione. Attratto (proprio come Michelangelo) dalle vestigia antiche ma anche dalla speranza di importanti incarichi da parte dei cardinali più potenti ed influenti (Oliviero Carafa, Raffaele Riario o Carvajal), Bramante arriva a Roma negli ultimi anni del disastroso pontificato di Alessandro VI Borgia. Il suo obiettivo è lo studio attento e preciso dell’architettura degli antichi, ma l’elezione al soglio di Pietro di Giulio II della Rovere (1503) produce un profondo mutamento nella vita dell’architetto: il suo programma è totalmente soppiantato dalle richieste del bellicoso pontefice.
A differenza del suo predecessore (Niccolò V), il papa guerriero non si accontenta più nella ricostruzione della basilica apostolica a ingrandire il presbiterio, di gran lunga più ampio di quello di Santa Maria del Fiore, ma arriva anche a sostituire la navata della Basilica costantiniana. Se la cappella centrale (capella maxima) viene destinata all’altare maggiore e e alla tomba del Princeps Apostolorum, il braccio del coro deve ospitare la sua cappella funeraria, la cui progettazione (sempre collegata alla struttura stessa della Basilica) viene commissionata a Michelangelo.
Nel primissimo progetto (1505) Bramante, forse ancora influenzato da quella Incisione Prevedari che aveva realizzato a Milano, ricorre ad una combinazione di croce latina e quincunx (che lui ritiene essere la forma prediletta dagli antichi), unendosi all’impianto dell’antico edificio e alle fondazioni di Niccolò V. La tomba di San Pietro è situata sotto la cupola (molto simile a quella del Pantheon), l’altare maggiore sotto l’arco trionfale e la cappella funeraria del papa nell’abside, dove il monumento commemorativo di Michelangelo è ancora pensato come una semplice tomba parietale da addossare alle pareti.
Nell’aprile del 1505 però il papa autorizza un nuovo grandioso progetto di Michelangelo per il suo sepolcro. Quella che doveva essere una semplice (seppur sfarzosa) sepoltura parietale si trasforma in un enorme macchina scenica totalmente distaccata dalle pareti e decorata da quaranta statue di straordinaria grandezza: le dimensioni sono talmente grandi che Bramante è costretto ad una nuova modifica dell’edificio, raddoppiando la lunghezza dei bracci del coro e (pur lasciando l’altare sotto l’arco del coro stesso) sceglie un sistema a quincunx perfettamente simmetrico.
Tutto sembra finalmente deciso. Il San Pietro bramantesco si sarebbe concretizzato in un crescendo organico di ingombri, dalle cappelle angolari fino alla grande struttura sopra l’altare, il tutto su una pianta pressoché centrale, come si vede nella medaglia di fondazione di Cristoforo Foppa Caradosso. Ma solo dopo la fusione delle medaglie, Giuliano da Sangallo (nominato secondo architetto papale nel 1504) avverte il pontefice sui concreti rischi statici della struttura centrale proponendo un nuovo progetto con pilastri più robusti e una cupola ottagonale.
Proprio qui si inserisce il leggendario progetto autografo di Bramante per la basilica di San Pietro, noto come Uffizi 20 A, fulcro della mostra: “Donato Bramante e l’arte della progettazione” ospitata al Palladio Museum di Vicenza fino al 8 febbraio 2015. Il motivo lo spiega perfettamente Christoph Luitpold Frommel, (uno dei curatori dell’esposizione) in “Architettura del Rinascimento Italiano”:
“In un nuovo progetto, la famosa pianta sanguigna, anche Bramante rinforza i pilastri e li fa proseguire, sicuramente in accordo col Papa, nelle navate laterali di una croce latina e negli ambulatori di tre bracci della croce. Probabilmente durante una discussione a tre con il pontefice egli stesso abbozza, sul rovescio di quello di Giuliano, questo nuovo disegno con qualche modifica. Per giustificare degli ambulacri e il loro collegamento con una navata, Bramante fa appello ai due più celebri monumenti milanesi, riportandone sullo stesso foglio le piante: il Duomo, la più gotica delle cattedrali italiane e San Lorenzo Maggiore, allora ritenuto il tempio di Ercole.”
In poche parole il disegno Uffizi 20 A condensa in se tutte le fasi della progettazione dell’edificio e contemporaneamente presenta il pensiero dell’architetto in continuo divenire. Bramante progetta uno spazio nuovo, ispirato a quello dei grandi edifici del mondo antico, attraverso un evoluzione per gradi che rimane però impressa sulla pergamena con una potenza senza pari. «È un semplice foglio di carta, ma pesa come una montagna» – afferma il presidente del Consiglio scientifico, Howard Burns – «È considerato il disegno più importante per l’architettura del mondo occidentale, che dopo di esso non è stata più la stessa». Il disegno che ha cambiato il mondo sta al centro della mostra con l’obiettivo di comprendere ed esporre la modalità attraverso cui Bramante concepiva e progettava i suoi edifici.
Partendo infatti dagli studi di Christof Thoenes, che in anni di ricerche ha studiato e compreso i procedimenti di Bramante al tavolo da disegno e l’ha sviluppata in una sequenza inedita di disegni interpretativi, realizzati con la collaborazione di Alina Aggujaro, l’esposizione mette in luce, anche grazie allo straordinario allestimento dello Studio Scandurra (che con la parete dei pensieri tocca punti davvero elevatissimi), il pensiero creativo e innovativo dell’architetto che ha cambiato il mondo e il modo del progettare il costruire.
“Quando i trattati rinascimentali” scrive Christof Thoenes, “illustrano l’arte della progettazione, l’atto del costruire sembra impiantarsi su una tabula rasa. Ma nella realtà l’arte della progettazione sta nella soluzione di problemi specifici, nati dai limiti imposti da precondizioni. L’idea si traduce dalla mente in carta, e tramite la materia in oggetto, per tentativi più che per singolari atti lirici, per inclusioni più che per demolizioni, per revisioni più che per verità assolute. Bramante parte da spazi preesistenti e sviluppa il progetto da un concetto generale, che specifica progressivamente. Crea maglie ortogonali che ordinano gli spazi, secondo una pratica che potrebbe aver appreso da Filarete e che permette il controllo della composizione a scale differenti. Il procedimento cerca di fare ricorso numeri interi: un passaggio fondamentale, che supera la costruzione geometrica in uso nell’architettura medievale a favore di modelli aritmetici elementari.
Ovviamente la mostra, organizzata in occasione del 5° centenario della morte dell’architetto e artista, in collaborazione con la Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la storia dell’arte, il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi e la Fondazione Piero Portaluppi di Milano, dedica un bella sezione anche al rapporto tra Andrea Palladio e il toscano, esponendo alcuni disegni del maestro vicentino, tratti dai celebri Quattro libri. Seppur appartenenti a due generazioni differenti, Bramante è un riferimento essenziale per il Palladio tanto da dedicargli un intero capitolo dedicato al Tempietto di San Pietro in Montorio, dove per il veneto, l’architetto del pontefice propone un vero e proprio nuovo paradigma della rinascita dell’antico.
Un’esposizione piccolissima eppure di elevatissimo livello come solo Guido Beltramini, direttore del Palladio Museum, riesce fare. Attraverso tre disegni e un’apparato didattico praticamente perfetto, il visitatore (che non può essere però proprio a digiuno di Storia dell’architettura e del disegno) è accompagnato alla comprensione di una pietra miliare della storia occidentale che riporta su carta la ricostruzione dei procedimenti mentali di una delle figure chiavi della storia europea. In opposizione a tutto ciò che Vicenza sembra essere diventata (il regno di Goldin e delle sue vergognose operazioni mortificatore) il Palladio Museum brilla di una luce viva e di accecante bellezza: quella della ricerca, del sapere vero e della qualità a portata di tutti. Il CISA protetto dalle mura progettate da chi è oggetto dei loro stessi studi, resiste nella mia amata Vicenza come un’anima non corrotta e pronta a rispondere al “mostrifico” con l’unica alternativa possibile: lo studio di alto livello.
Bramante, come ha ricordato Paolo Portoghesi su Domus 983 / settembre 2014 nell’articolo intitolato: “Un cinquecentenario nel silenzio”, è entrato “nella storia come fondatore di un nuovo linguaggio diffuso gradualmente in tutta Europa. La sua fama di radicale, impaziente innovatore ha colpito la fantasia popolare ed è ironicamente condensata nel fantasioso aneddoto narrato dal Guarna nella sua Simia”. Giunto in Paradiso in cospetto di San Pietro, l’architetto avrebbe dichiarato: “Prima di tutto io voglio eliminare questa strada di accesso così aspra e difficile da salire che conduce dalla terra al cielo; io ne farò un’altra così dolce e larga, che le anime dei deboli e dei vecchi vi possano salire a cavallo. Inoltre penso di buttar giù questo paradiso e farne uno nuovo con più belle e più allegre abitazioni per i beati. Se queste cose vi accomodano sono con voi; altrimenti me ne vado a casa di Plutone”.
A presto
Rò
FOTO DI COPERTINA: Donato Bramante (1444-1514), Studi per San Pietro, matita rossa su carta bianca imbrunita, quadrettatura a matita rossa; 692 x 474 mm , Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv. 20 A recto.