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Caravaggio, gotico e vetrate a Rouen – Arte in Normandia

Roeun mi ha stupito ed affascinato al tramonto. Quelle guglie sapientemente intagliate svettano ora sul cielo azzurro e terso del mio primo vero giorno in Normandia.

Nel 911 capitale del dicato di Normandia, nel XII capitale dei possedimenti dei plantageneti, nel 1204 inclusa trionfalmente nel Regno Capetingio, Rouen conobbe prestissimo una forte amministrazione borghese e una notevole autonomia. Per questo motivo quando si vuole parlare di “gotico regionale”, è obbligatorio guardare a questa città adagiata sulle rive della Senna, che non recise mai i (fin troppo) forti legami con l’Inghilterra che ne resero ricca la borghesia che finanziò la completa ristrutturazione della cattedrale. E proprio qui sta la straordinarietà della chiesa madre di Rouen. Si perché l’uso dell’ogiva già con il suo valore costruttivo, era stato un fatto molto precoce in Normandia, dalla quale si era poi propagata nel resto del regno, ma solo nell’Ile de France aveva ricevuto formulazioni e applicazioni tali da far vita ad uno stile. Durante questa fase di elaborazione l’ogiva era totalmente scomparsa dalla Normandia per riapparire (goticamente rielaborata), proprio nella torre Saint Romain della Cattedrale di Rouen, cioè all’interno di un elemento tipicamente locale quale l’alta torre posta all’incrocio dei bracci della chiesa.
L’applicazione dello stile gotico a Rouen fu tuttavia compiuta su persistenze romaniche, dando così vita ad una variante particolare, sostanzialmente molto più massiccia, che garantiva maggiore solidità ma anche un maggiore svuotamento. Ultima particolarissima caratteristica di quello che potremmo ormai facilmente definire gotico normanno è la decorazione delle facciate e delle navate interne, nella quale rari sono gli elemento figurati, sostituiti da una ricca decorazione floreale e vegetale intaglia nella pietra viva.

Pietro Perugino, polittico di San Pietro, Rouen 1496-1500, Musèe de Beaux Art, Rouen

Pietro Perugino, polittico di San Pietro, Rouen 1496-1500, Musèe de Beaux Art, Rouen

La cattedrale di Notre Dame (così amata da Monet) presenta al visitatore anche un ulteriore straordinaria sorpresa. Insieme alla chiesa di Saint Ouen e a quella di Saint Maclou, contiene straordinari esempi di arte vetraria di straordinaria qualità e pregio. Le cosiddette “belles verrières” di Rouen costituiscono una sorta di museo gratuito dallo straordinario valore, dove se poche sono quelle duecentesche numerose sono quelle del secolo successivo, riconoscibili per il largo impiego del colore argento, utilizzato nelle barbe, nei capelli e nei dettagli delle vesti. È la comparsa del chiaroscuro, ma sopratutto della prospettiva, l’elemento innovatore delle vetrate quattrocentesche, nelle quali i personaggi acquistano maggiore movimento e realismo. Come in grandi tele rinascimentali le vetrate raffigurano personaggi e ambienti, architetture e sfondi con una bravura e a precisione sconosciuta anche nella aggiornata a moderna Parigi, che rendono Rouen e la Normandia, città e regione di straordinaria importanza per lo sviluppo di questa antica e preIosa creazione artistica.

Si chiude la scoperta di Rouen con la visita al Musèe de Beux Arts. Tra numerose opere del Neoclassicismo francese, custoditi con invidiabile gelosia, questo museo conserva alcuni capolavori di straordinaria importanza. In una sala circolare pendono dalle pareti due enormi tele del Veronese, una del Guercino e una del pittore fiammingo Rubens. Tra di loro la “Flagellazione di Cristo” di Michelangelo Merisi da Caravaggio.

Non è sicuramente tra le opere meglio riuscite del maestro lombardo ma rimane ovviamente di straordinaria fattura. Un cristo sofferente, plasticamente scolpito, emerge dal l’oscurità legato ad una colonna è strattonato da due popolareschi aguzzini, di cui uno (quello in primo piano) tanto ricorda il giovane fanciullo urlante del martirio di San Matteo, o uno degli aguzzini della Flagellazione di Cristo di Napoli o l’uomo che porge la testa del Battista in “Salomè con la testa del Battista” di Londra.

Acquistato nel 1955 (con una attribuzione a Mattia Preti) e variante della Flagellazione di Cristo realizzata da Caravaggio intorno al 1607 durante il suo soggiorno napoletano, per lungo tempo si è discusso circa l’autografia di quest’opera. A sostegno dell’attribuzione (nonostante non esistano documenti noti o riferimenti nelle biografie contemporanee del pittore) vi è la tecnica adottata dall’artista, senza disegno preparatorio, ma con diversi segni che solcano l’imprimitura con il manico del pennello.

Sul formato orizzontale della tela, Caravaggio fa del corpo seminudo e martoriato di Cristo l’asse portante dell’opera, irradiato dalla luce che batte dalla sinistra alla destra modellando il suo torso vigoroso e il corpo dell’aguzzino in primo piano. Un opera bella e toccante che avvolge e cattura lo spettatore nel silenzio di un museo troppo poco sconosciuto.

Tra le migliaia di opere della collezione permanente (bellissimo l’astronomo di Velasquez, straordinario Perugino, le prove anatomiche di Gericault, i paesaggi di Monet, le opere di Sisley e quelle di Caillebotte) rifletto sul ruolo dell’arte nello sviluppo regionale del linguaggio espressivo della Normandia. Una regione dove gli artisti e le loro creazioni da sempre hanno trovato ampio spazio, dove il linguaggio internazionale si declina una una variante locale, non certo di minor valore, ma di straordinaria singolarità. Passando da arte medievale a impressionismo sono pronto per affrontare una nuova giornata nella terra dei Normanni, spostandomi tra le abbazie della valle della Senna per scoprire alla il giardino di Giverny dell’ormai vecchio Monet e l’ultima abbazia romanica ancora conservata. Sono pronto a conoscere una nuova pagine del grande libro del mondo. E voi?

A presto

Arte in Normandia 2

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