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Questioni di Reggia.

Da qualche giorno il Decreto Cultura proposto dal Governo Renzi è tema di post e dibattito nei principali siti e blog di Storia dell’arte, nonché su quotidiani e riviste di settore (consiglio la lettura di “Libertà di #selfie ai musei: ma così non si aiuta davvero la promozione della conoscenza” pubblicato il 27 maggio da Finestre sull’arte).

Il ministro Dario Franceschini ci ha stupiti con una mossa ben assestata, zittendo le non poche critiche preventive che il mondo della cultura non si era certo risparmiato nei confronti del deputato ferrarese. Il decreto legge, impacchettato in tutta fretta per poter essere esibito come l’ennesima tacca sul fucile di Renzi prima delle elezioni del 25 maggio scorso (dove il premieir che odia le sovrintendenze è uscito trionfatore), altro non è che un semplice schema riassuntivo generale di ciò che il ministero ha intenzione di inserire nel vero Decreto legge. Si, perché quello su cui tanto si discute non è ancora il testo effettivo del decreto  ma solamente le linee guida di un elaborato che l’ufficio legislativo del Ministero deve ancora consegnare.

Molte sono ora le domande che sorgono spontanee all’analisi della prassi operativa utilizzata da questo Governo, che procede (come i governi Berlusconi) utilizzando ormai solamente Decreti legge, atti legislativi che ai sensi dell’articolo 77 della Costituzione devono essere utilizzati dal Governo in casi di straordinaria necessità e urgenza, in quanto eliminano quasi totalmente la prassi parlamentare, che si riduce alla successiva sola approvazione o respingimento di un atto normativo avente comunque immediata forza di legge.

Molte sono inoltre le domande derivanti dalla lettura di alcuni provvedimenti che il premier “cinguettatore” ha definito “molto interessanti”. Se infatti la prima parte intitolata: “ARTBONUS, Misure urgenti per favorire il mecenatismo culturale” mi ha positivamente stupito, andando ad operare in termini di defiscalizzazione (scelta che non si effettuava, come mi ha fatto notare la dottoressa Grazia Agostini, dalla legge 512 del 1982) per chi effettua interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici o donazioni a Musei, siti archeologici, archivi, biblioteche,Teatri pubblici e Fondazioni lirico sinfoniche, alcuni seri dubbi sono nati invece dalla lettura delle cosiddette “Misure urgenti per la tutela e la valorizzazione del complesso della Reggia di Caserta” ma sopratutto del capitolo dedicato alla “nefasta” novità del MANAGER MUSEALE.

La Reggia di Caserta sarebbe potuta diventare (sempre se il decreto non avesse subito modifiche) il campo di prova di una gestione di tipo manageriale che è tanto cara al Presidente del Consiglio, che insofferente del sistema di tutela delle sovrintendenze, ne vorrebbe fare uno dei punti cardine nel riassetto dei Beni culturali. Ma le nebbie sembrano diradarsi quando la prima idea di un segretario generale, che con il sovrintendente avrebbe dovuto formare una specie di diarchia a capo del complesso reale, viene sostituita da un commissario speciale con scadenza di mandato al 31 dicembre 2014.

Il Commissario in questione “nominato tra esperti di comprovata competenza, anche provenienti dai ruoli del personale dirigenziale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo o delle altre amministrazioni statali” avrà fondamentalmente il compito di “sfrattare” le varie istituzioni che attualmente occupano  buona parte della Reggia carolina e ferdinandea. Entro il 31 dicembre del 2014, si dovrà scegliere infatti, d’intesa con la Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etno-antropologico e per il polo museale della città di Napoli e della Reggia di Caserta, con l’Agenzia del Demanio e con il Ministero della Difesa, dove spostare e con quali modalità gli alloggi e la scuola dell’Areonautica Militare, la Scuola di Pubblica amministrazione, l’ente regionale per il turismo, il rettorato dell’Università Napoli2, la Pro Loco, i Nas e i Ros dei Carabinieri.

Fermo restando il mio pieno appoggio al piano di restituzione dell’intera Reggia borbonica, comprendente la Reggia, il Parco reale, il Giardino “all’inglese”, l’Oasi di San Silvestro e l’Acquedotto Carolino,  alla sua destinazione culturale, educativa e museale, mi chiedo se fosse davvero questa la priorità per un Reggia che non riesce, con i pochi fondi a disposizione, ad adempire alla semplice manutenzione quotidiana. Tra le varie istituzioni che occupano (vergognosamente) il complesso, la Scuola Specialisti dell’Aeronautica militare ha difatti una importanza sociale ma sopratutto economica di notevole interesse per il territorio casertano e il suo veloce trasferimento (si spera non al di fuori della regione Campania) potrebbe comportare l’ennesimo danno per una terra caratterizzata da un forte disagio economico e (credo sia il caso di dirlo) legale.

Da diverso tempo si sta ipotizzando, con proposte concrete e studi di fattibilità interessanti, un possibile trasferimento delle istituzioni coinvolte, ma dopo anni di dibattito e accese polemiche, non si è ancora riusciti (forse perché non vi era una reale volontà politica) a restituire tutto il complesso al suo indiscutibile ruolo culturale. Ora, possibile che dopo anni il nuovo commissario riesca a risolvere tutta la situazione “condominiale” (come l’ha definita lo stesso ministro) del complesso reale entro il 31 dicembre del 2014? Possibile che si riesca a fare in pochi mesi quello che nemmeno sovrintendenti storici e competenti sono riusciti ad ottenere?  Nella speranza che questo possa accedere, i miei dubbi si rivolgono sempre più verso l’idea che l’euforia della campagna elettorale e questa volontà di un cambiamento veloce e netto comporterà trasformazioni superficiali ma danni consistenti al monumento e al territorio.

O forse questo commissario speciale altro non è che la prova di quel manager che nella gestione dei vecchi e nuovi poli museali italiani avrà “specifiche competenze gestionali e amministrative in materia di valorizzazione del patrimonio culturale”? Di un manager quindi, che gestirebbe non solo la situazione economica della reggia, ma anche gli eventi espositivi (la vera macchina per far soldi) con mostruose ripercussioni sulla qualità scientifica delle mostre? E se qualora venissero approvati questi manager, quali competenze dovrebbero possedere per poter ricoprire ruoli di così alto livello? Storico artistiche o bellamente economiche?

Per capire la situazione credo sia utile effettuare una piccola analisi e dei piccoli confronti con altri importanti luoghi di cultura simili alla Reggia campana, presenti sul territorio nazionale e non.

Nel 1658, Carlo Emanuele II, duca di Savoia, principe di Piemonte, marchese di Saluzzo, conte d’Aosta Moriana e Nizza, re di Cipro e Gerusalemme dal 1638 al 1675, decise di affidare all’architetto Amedeo di Castellamonte il progetto e la costruzione di una reggia dedicata all’arte venatoria (Venatio Regia), che potesse allo stesso tempo contenere l’intera corte torinese e le attività ad essa connesse. Un progetto colossale che comprendeva non solo l’edificio della Reggia ma anche l’intero villaggio della Venaria   realizzato con una pianta atta a disegnare il Collare dell’Annunziata (la più alta onorificenza di casa Savoia). I lavori si protrassero per decenni, a causa di assedi e scontri con l’esercito francese, vedendo alternare alla progettazione architetti del calibro di Michelangelo Garove e Filippo Juvarra. La costruzione della straordinaria Palazzina di caccia di Stupinigi nel Settecento spostò poi l’attenzione su altre residenze e con il passare del tempo la Venaria venne pian piano trasformata in caserma e utilizzata a questo scopo fino al 1978, per poi essere abbandonata al degrado. Fino agli anni 90 la Reggia era totalmente dimenticata, murata e in alcuni punti ridotta a rudere, nonostante gli sforzi di una Sovrintendenza che già all’epoca presentava forti ristrettezze economiche, ma che cercava di arginare la catastrofe conservativa con piccoli restauri. La svolta avviene nel 1995 in occasione del convegno dedicato all’individuazione della destinazione d’uso della reggia, che gettò le basi del cosiddetto “Progetto La Venaria Reale”, realizzato effettivamente nel 1997.

A Torino si comprese come il recupero dell’intero complesso (parco, giardini, edifici e cittadina), potesse essere un’occasione straordinaria di democrazia, cultura ed economia che avrebbe favorito la crescita di un territorio, quello piemontese, fortemente danneggiato dalla crisi dell’automobile. I fondi stanziati, 50 milioni dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, 80 milioni dalla Regione Piemonte, 170 milioni dalla Comunità Europea per un importo totale di 300 milioni di euro, hanno consentito il restauro dell’intero complesso, per una superficie totale di mq 240.000 e 800.000 mq di giardini. Per gestire la Reggia restaurata si crea un consorzio di valorizzazione culturale composto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dalla Regione Piemonte, dalla Città di Venaria Reale, dalla Compagnia di San Paolo e dalla Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura, che possiede piena autonomia gestionale sulla struttura, presentando (come si legge sul sito internet della Reggia) “un profilo e modello amministrativo inedito”.

Ma chi viene scelto per gestire questo consorzio così potente e importante? Forse un uomo del ministero dei beni e delle attività culturali, magari esperto dell’arte seicentesca e perché no della produzione artistica barocca in territorio sabaudo? Ovviamente no. A presiedere la macchina da soldi di nome “Venaria” (che sulla carta era partita bene, addirittura con la creazione di un buon Centro di Restauro) viene messo il dottor Fabrizio del Noce, laureato in Giurisprudenza, ex assistente universitario, ex inviato speciale del TG1, ex presentatore di Linea Verde, ex direttore di Rai 1, ex direttore di Rai Fiction, ex deputato nella XII Legislatura nelle file di Forza Italia. Forse scelto in virtù della sua “straordinaria” conduzione del programma di agricoltura, che allietava gli spettatori dopo l’angelus del Pontefice e prima del telegiornale delle rete ammiraglia ogni domenica? O forse perchè ex deputato del partito allora al governo? Non ci è dato sapere.

Certo è che le mostre realizzate sotto la sua direzione non sono sicuramente memorabili, anzi. Venaria Reale si è trasformata da  straordinaria opportunità di cultura a scatolone per eventi, scenografia per cene lussuose ed eventi esclusivi, per concerti di musica Rock e set pubblicitari, per party unici e “emozioni da favola” (come recitava lo spot pubblicitario). Svuotate del loro valore culturale le sale restaurate sono diventate luogo per eventi espositivi dal quasi “ridicolo” valore scientifico, e allora grande successo per mostre che tanto ricordano Goldin come “La bella Italia. Arte e identità delle città capitali” (a cura di Antonio Paolucci, con un allestimento pauroso di Luca Ronconi) o come “Gesù. Il corpo, il volto nell’arte” o “Leonardo. Il genio, il mito”. Puri eventi per batter cassa, dalla discutibile riuscita.

E la lista non finisce, perchè “scimmiottando” l’esposizione di Versailles del 2013 dedicata alle carrozze della reggia (ROULEZ CARROSSES), Venaria ha proposto quest’anno “Carrozze regali”, unendo nelle scuderie Juvarriane (come in un elenco telefonico), una serie di straordinari capolavori (superbo il Berlingotto del 1789 di Vittorio Emanuele I) ma senza realizzare un vero e serio progetto scientifico, che accompagnava invece l’esposizione francese.

Venaria con i suo 600.000 visitatori, che tanto mandano in visibilio i giornalisti che stendono le classifiche dei luoghi più visitati d’Europa (e puntualmente si rammaricano del mancato sfruttamento degli Uffizi), si è trasformata in una Disneyland della cultura spicciola, dove i “clienti” si muovono tra le mille attrazioni e le opere sono “il di più” che ruota attorno al vero centro d’attenzione: il visitatore e i suoi consumi.

Eppure ben diversamente si potrebbe gestire questo patrimonio, pur non diminuendo il numero così elevato di visitatori, mediando tra quelle che sono le esigenze di un pubblico numeroso e la salvaguardia, tutela e valorizzazione di un patrimonio culturale così importante e ricco. Prova di ciò sono i numerosi castelli della Loira (privati e non) o la celeberrima Reggia di Versailles, che sotto la direzione generale di Catherine Pégard (laureata in Storia e Scienze Politiche) e di Béatrix Saule (Directeur du Musée national des châteaux de Versailles et de Trianon, Storica dell’arte) riesce ad accogliere centinaia di migliaia di visitatori e contemporaneamente ad ospitare diversi centri di ricerca, incontri scientifici (come le giornate nazionali dell’archeologia), incontri tecnici di restauro, concerti di musica sinfonica, convegni di storia e storia dell’arte di rilevanza internazionale e mostre dall’alto valore scientifico.

Tornando al nostro caso di apertura, con la Reggia di Caserta (che Carlo III di Borbone e Maria Amalia di Sassonia decisero di costruire per rivaleggiare con la grande Versailles, su progetto di Luigi Vanvitelli) che cosa si vuol fare? Se il progetto diabolico è quella di farla diventare un centro autonomo gestito da un manager museale, chi si sceglierà per dirigere il luogo che potrebbe essere il motore economico ma sopratutto culturale e di “legalita” di una intera provincia, se non regione? Si sceglierà forse il direttore di un canale televisivo per trasformare la Reggia in un parco divertimenti della cultura o storici dell’arte, sovrintendenti o giovani laureati competenti e preparati?

La Reggia di Caserta, come Venaria nel 1997, necessita di un immediato intervento di restauro, che riesca a porre rimedio a ciò che non si è fatto in anni di mancata manutenzione o agli errori di una gestione leggera e disattenta (come ad esempio ai pavimenti letteralmente consumati in quanto non coperti dalle necessarie guide da oltre 10 anni, eliminate e non sostituite per mancanza di risorse). Per fare ciò necessitano enormi investimenti che devono arrivare, non certo dai soli privati (come invece sembra sperare il governo Renzi), ma dallo Stato, Regione e Unione Europea. Fondi utili per restauri, manutenzione dei giardini, degli edifici in rovina, per le assunzioni di giardinieri e personale di controllo, per l’apertura di tutti i percorsi museali (compresi quelli già esistenti e perennemente chiusi per mancanza di personale) per estirpare (con le forze dell’ordine) il fenomeno vergognoso dei venditori abusivi che minacciano personale di servizio e i visitatori.

La Reggia di Caserta e la vicina Reggia di San Leucio con le sue seterie, come aveva capito bene Ferdinando IV di Borbone, possono diventare il motore di una nuova rinascita, di una seria crescita economia del territorio e di un ammirevole ed esemplare progetto culturale. Perchè non ospitare qui un centro studi sull’arte seicentesca o sulla progettazione dei giardini, o (ancora meglio) un centro di ricerca di idraulica o agricoltura proprio dove Vanvitelli deviò un intero corso d’acqua per alimentare le seterie, le fontane dei giardini e irrigare i campi della vicinissima e bucolica Reggia di Carditello, appena acquistata dallo stato e in gravissimo stato conservativo?

Perché non restaurare gli spazi di servizio antistanti alla reggia (in gravissimo stato) e trasferire proprio in questi spazi la Scuola Specialisti dell’Areonautica Militare, senza cosi allontanare dalla città campana un centro di così grande valore?

Nella Reggia più che un manager o un commissario straordinario servono fondi; Fondi per dare al personale competente la possibilità di non lavorare in uno stato di perenne precarietà. (consiglio la lettura di “Manager nei musei: un’idiozia, secondo Settis. E come dargli torto?” di Finestre sull’arte)

Caserta è il banco di prova di una riforma dei beni culturali che potrebbe cambiare la situazione che fin ad ora conosciamo. Ogni mossa errata potrebbe essere fatale. La Reggia è strumento “per costruire uguaglianza e democrazia sostenibile. Una via per rimanere umani, un mezzo per rovesciare la dittatura del mercato”. Chi non ha ancora capito, che ci giochiamo il futuro?

a presto

FOTO DI COPERTINA: Reggia di Caserta; Fontana di Cerere, particolare; foto di Vittorio Pio Cristofori

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