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Arte e Filosofia – Attenzione: finzione non è falso!

Incominciamo questa terza puntata di Arte e Filosofia— sulla linea di confine, dando la parola ai maestri.

Scrive Plinio il Vecchio nella sua Storia Naturale[1]:

Si racconta che Parrasio venne a gara con Zeusi; mentre questi presentò dell’uva dipinta così bene che gli uccelli si misero a svolazzare sul quadro, quello espose una tenda dipinta con tanto verismo che Zeusi, pieno di orgoglio per il giudizio degli uccelli, chiese che, tolta la tenda, finalmente fosse mostrato il quadro; dopo essersi accorto dell’errore, gli concesse la vittoria con nobile modestia: se egli aveva ingannato gli uccelli, Parrasio aveva ingannato lui stesso, un pittore.

Si racconta che poi Zeusi dipinse anche un fanciullo che portava l’uva sulla quale, al solito, volarono gli uccelli; onde, con la stessa spontaneità, si fece dinanzi al quadro adirato e disse:

«Ho dipinto l’uva meglio del fanciullo, perché, se avessi fatto bene anche lui, gli uccelli avrebbero dovuto averne paura»

Questo aneddoto di straordinaria densità concettuale, fa riferimento all’agone pittorico, una pratica estremamente comune nel quinto secolo avanti Cristo.

Emerge chiaro che esiste una naturalità della natura: non è certo un caso se la gara si svolse attorno alla rappresentazione di un frutto, emblema della natura nel suo primo più elementare e semplice stadio.

Il passo successivo che il pittore compie è quello di perfezionare questo elemento primigenio: l’acino curvo, può essere reso ancora più perfettibile grazie ad una stesura profonda, ombre e curve…imitando cioè la natura.

Meno banale risulta invece intendere questa come una competizione tra la natura e la sua riproduzione artefatta in immagini.

Ma andiamo con ordine. L’aneddoto narra di una competizione durante cui due pittori, Zeusi e Parrasio, riproducono un elemento del mondo noi circostante, imitano cioè la realtà.

In questo contesto il fatto che siano degli uccelli a tentare di beccare gli acini d’uva dipinti è fondamentale, in quanto essi sono simbolo di una natura ineducata: se un volatile crede a un’immagine significa che essa è così efficace da avere un grado di sensibilità e potere primordiale tanto grande che persino gli animali lo credono reale.

Ecco come l’uomo risulti ineducato e incline a essere ingannato tanto quanto gli animali: in qualsiasi fruitore, anche nel più colto, requia un elemento di sensibilità primaria, una reazione patica immediata.

Giotto Di Bondone (1266-1336) Coretto, Cappella degli Scrovegni, Padova

Giotto Di Bondone (1266-1336) Coretto, Cappella degli Scrovegni, Padova

Sembra un paradosso ma non lo è: tanto più il pittore è capace di fingere, tanto più il risultato che se ne avrà sarà in grado di competere con la fattualità della natura.

Come posso salvarmi da questo inganno? Che cosa devo sapere per poter guardare un’immagine? L’aneddoto pare avvertirci che io, umile spettatore, devo essere messo al corrente di qualcosa. Contemporaneamente Plinio avverte i suoi lettori che l’immagine deve essere realistica per poter competere con la realtà e suscitare reazioni così immediate da essere analoghe a quelle che possono avere gli animali. Per ottenere questo cosa serve? Un massimo di artificio e la consapevolezza che ciò che sto guardando è frutto reificato, un leggere il falso.

Nostra ancora di salvezza, unica mano che ci viene posta è proprio lei, l’autonomia dell’immagine. Per riuscire a fare tutto ciò e per mantenere viva l’esperienza estetica dobbiamo innanzitutto riconoscere tale dominio a se stessa dell’opera ..come?

Con la cornice.

La cornice è da sempre l’incarnazione materiale della finzione, ciò che consente all’immagine di essere autonoma (letteralmente, legge a se stessa), di proteggersi dalla realtà con cui compete.

È lei, semplice elemento non naturale, che incarna la finzione, l’artificio ( dove con “finzione” non si sta assolutamente utilizzando un termine qualitativamente negativo, quanto significando qualcosa di “non naturale” ma prodotto dall’uomo, letteralmente, un fatto dell’ars).

Possiamo fare un passo in più e comprendere quindi come, avvallando la competizione dell’immagine con la realtà, il pittore di cui Plinio narra le gesta, stia in realtà minando l’autonomia dell’immagine, che svilisce e prostituisce. Così facendo cioè ne lede l’essenza e la profondità. Altro paradosso: il più grande iconoclasta e censore, è esattamente il pittore che si dimentica della vita indipendente di cui gode il suo prodotto.

Ma quindi chi è il buon fruitore? Potrà sembrare strano, ma è proprio colui che, come il guardiano del museo, è partecipe della relazione estetica con un occhio specifico. Per mezzo del suo esserci non solo egli è emblema di quello che dovrebbe costituire il nostro modo di rapportarci al quadro, ma la sua presenza è la cornice del quadro: ci aiuta a porci in una relazione di distanza, quasi fosse un arbitro che ci sussurra il giusto ritmo per una sana fruizione.

Cornice nel quadro scenica come cornice scenica, entrambe sono il limite — fisico e non — della rappresentazione e ci rendono chiaro che ciò che accade, sul palco come sulla tela, gode dello statuto di immagine. Non è certo un caso se a conferma della somiglianza fra la grammatica dell’accadimento teatrale e quello del linguaggio pittorico Diderot[2] disse che “lo spettatore sta a teatro come davanti a una telamone dove quadri si succedono per incanto“.


[1] Plinio il Vecchio, Naturalis historia, XXXV, 65-66, tr. it. Storia naturale, vol. V, Einaudi, Torino 1988, pp. 361-363.]

[2] Denis Diderot, Teatro e scritti sul teatro, a cura di Marialuisa Grilli, Firenze, La nuova Italia, 1980


FOTO DI COPERTINA: Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore 1480/1485-Venezia 1576), Ritratto dell’arcivescovo Filippo Archinto, 1556-1558 circa, Olio su tela; cm 114,8 x 88,7. Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, Credit: The John G. Johnson Collection, Philadelphia Museum of Art. Foto: GraydonWood, 1997

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