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Piero artista e matematico.

Nella putrescente scuola italiana, gli studenti (a volte coadiuvati da professori incompetenti o demoralizzati), non riescono a comprendere che non esiste cosa più irreale della suddivisione disciplinare. Tutti dediti al raggiungimento di un voto almeno sufficiente, (utile per il regalo di promozione, più che per un fatto personale) non riescono a comprendere che quella matematica tanto odiata non è così distante dalla Storia dell’arte, o che le imprese di Orlando non sono frutto di una semplice astrazione mentale ma di una congiuntura storica e filosofica tutta particolare. Nella scuola, ma così allo stesso modo nell’Università italiana (dove gli ingegneri scrivono relazioni con una lingua indegna per un’istruzione elementare, o storici dell’arte cadono in difficoltà nel pur semplice far di conto), sembra che a separare gli ambiti disciplinari ci siano muri invalicabili e non, com’è, un sottile filo impercettibile, steso ragionevolmente per puro comodo di studio.

Piero Della Francesca, De prospectiva pingendi, 1472-1492, manoscritto Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia

Piero Della Francesca, De prospectiva pingendi, 1472-1492, manoscritto Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia

A consolidare questa idea c’è poi il mostrificio italiano che, con ritmo degno di una fabbrica del trash,  isola un singolo autore (pittore o scultore che sia) trasformandolo nel genio che, più in alto dello squallore del mondo, crea arte lontana dalla realtà becera di una esistenza piena di sofferenza e sporcizia. Eppure, molti se lo sono scordati, quelle opere d’arte che le mostre ci chiedono di non capire, ma semplicemente di ammirare emozionandoci (Goldin e Sgarbi docent), sono estremo e preziosissimo frutto di una realtà complessa, analizzata dall’artista non con gli occhi dell’emozione, ma con quelli dell’erudito che interroga il mondo in tutte le sue sfaccettature. Semplificando enormemente, me lo si permetta, si potrebbe quasi affermare che le opere d’arte (specie quelle dell’eta moderna) sono il risultato di ciò che oggi la scuola dovrebbe chiamare: percorso interdisciplinare.

Ma se la scuola, le Università e addirittura la maggior parte delle mostre (che dovrebbero essere arteria viva dalla storia dell’arte), dimenticano la grande lezione di Warburg e della sua biblioteca, per una volta sembra che qualcuno si sia ricordato dello storico dell’arte originario di Amburgo e abbia presentato, ad un pubblico numerosissimo ed entusiasta, non un evento ma un’esposizione. Fa sorridere pensare poi che a fare tutto ciò non siano stati degli storici dell’arte (che primi tra tutti gli umanisti dovrebbero possedere quello spirito incline all’interdisciplinarità) ma il direttore di un museo storico-scientifico, un architetto e un ordinario di geometria, rispettivamente Filippo Camerota, Francesco Paolo Di Teodoro e Luigi Grasselli, che nelle piccole sale della Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia hanno riportato Piero della Francesca nel giusto ruolo che compete, non ad un artista esperto di matematica, ma ad un artista esperto matematico con la mostra: “PIERO DELLA FRANCESCA. Il disegno tra arte e scienza” (fino al 28 giugno).

“Attorno al maestro di Sansepolcro aleggia da sempre un velo di mistero e di enigmaticità dovuto sia i pochi documenti che lo riguardano, sia alla singolarità del suo linguaggio espressivo che coniuga, magicamente in equilibrio perfetto, la plasticità e la monumentalità di Giotto e Masaccio con una straordinaria capacità di astrazione e sospensione. Un’essenzialità e purezza di forme che trovano fondamento nei suoi interessi matematici e geometrici mirabilmente espressi nei trattati che ci ha lasciato: l’Abaco, il Libellus de quinque corporibus regularibus, il De Prospectiva pingendi e il da poco scoperto Archimede.” Ed è proprio su questi preziosi testimoni dell’opera scritto-grafica di Piero che la mostra di Palazzo Magnani prende corpo, riunendo in unico spazio per la prima volta in età moderna, tutti gli esemplari esistenti, tra latini e volgari, del De Prospectiva pingendi (conservati a: Bordeaux, Londra, Milano, Parma, Parigi e Reggio Emilia) senza dimenticare i due codici dell’Abaco (Firenze), il bellissimo Libellus de quinque corporibus regularibus (eccezionalmente prestato dalla Biblioteca Apostolica Vaticana) e l’Archimede (Firenze).

Allestimento della prima sala espositiva corrispondente alla prima sezione e intitolata: "I TESTIMONI". In questa sala sono riunite tutte le copie autografe del De Prospectiva Pingendi di Piero della Francesca

Allestimento della prima sala espositiva corrispondente alla prima sezione e intitolata: “I TESTIMONI”. In questa sala sono riunite tutte le copie autografe del De Prospectiva Pingendi di Piero della Francesca

La mostra di Reggio oltre a fornire agli studiosi l’occasione unica di poter osservare contemporaneamente tutta la produzione grafica e letteraria di Piero, grazie ad un allestimento innovativo e fortemente didattico, accompagna per mano ogni visitatore (nessuno escluso) in un percorso che passo dopo passo aiuta a comprendere gli scritti e i disegni del maestro toscano di non certo immediata comprensione. Ma come sempre dovrebbe essere nelle buone mostre, Piero non è “nuclearizzato”, reso distante dal mondo e della storia, mitizzato e angelicato nel genio creatore, ma fortemente inserito nella Storia, tra i suoi contemporanei e i suoi successori (artisti e non) che hanno recepito, compreso e attualizzato la sua lezione.

Così, se fulcro dell’esposizione è l’esemplare del De Prospectiva Pingendi della Biblioteca “Panizzi” di Reggio Emilia (opera di un copista, che reca però numerose correzioni, note marginali ed estese aggiunte di mano di Piero) con i disegni a linee sottilissime di mano dell’artista (emozionante vedere a distanza ravvicinata il testo), corpo accessorio indispensabile sono le opere grafiche e pittoriche dei grandi maestri del XV e XVI secolo quali Lorenzo Ghiberti, Ercole de’ Roberti, Domenico Ghirlandaio, Giovanni Bellini, Francesco di Giorgio, Albrecht Dürer, Bernardo Zenale, Antonio da Sangallo il Giovane, Baldassarre Peruzzi, Amico Aspertini, Michelangelo, e molti altri; concesse in prestito da prestigiose istituzioni italiane e straniere (Sbb-Pk Staatsbibliothek di Berlino, Bibliothèque Municipale di Bordeaux, Bibliothèque Nationale de France, British Museum, British Library, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Galleria Nazionale dell’Umbria, Musei Vaticani, Biblioteca Medicea-Laurenziana, Biblioteca Nazionale di Firenze, Biblioteca Ambrosiana, Biblioteca Palatina di Parma, Galleria Estense di Modena, Museo Comunale di Sansepolcro) che hanno intuito, con lungimiranza, l’importanza di una esposizione di straordinario valore didattico che brilla (se pur con qualche macchia), tra la feccia italiana di un sistema espositivo vergognoso.

Di una perizia lodevole e di una bellezza estrema la sezione dedicata ai “Mestri della Prospettiva”, ossia gli intarsiatori, che fondarono la propria arte sul repertorio di temi e di immagini contenuto nel trattato pierafrancescano e non è dunque un caso che l’amicizia fraterna che legava Piero ai fratelli Lorenzo e Cristoforo Canozi da Lendinara, intarsiatori per eccellenza, fu degna della menzione di Luca Pacioli. Tra i capolavori ammirati da Piero nel suo primo soggiorno fiorentino del 1439 infatti, vi erano certamente anche le tarsie lignee della Sacrestia delle Messe di Santa Maria del Fiore, raffinate prospettive disegnate da un gruppo di legnaioli tra cui Giovanni di Ser Giovanni detto lo “Scheggia”, (presente in mostra con Trionfo di un giovane generale all’antica, 1445-1465 ca, Tempera su tavola della Galleria Parmeggiani di Reggio Emilia) fratello minore di Masaccio, e Antonio Manetti Ciaccheri, uno dei più assidui collaboratori del Brunelleschi. Un mondo quello delle prospettive lignee degli intarsiatori, ancora troppo poco affrontato, che necessiterebbe quasi una mostra a se stante.

Le opere esposte – un centinaio tra dipinti, disegni, manoscritti, opere a stampa, incisioni, sculture, tarsie, maioliche e medaglie – accompagnano il visitatore in un percorso che segue a grandi linee le tematiche affrontate nei capitoli del De Prospectiva Pingendi e attraversare le sale è un po’ come sfogliarne le pagine. Si inizia dai principi geometrici e si prosegue con le figure piane, i corpi geometrici, l’architettura, la figura umana, la proiezione delle ombre e l’anamorfosi

ERCOLE DE' ROBERTI: I miracoli di San Vincenzo Ferrer (particolare) - Predella della Pala Griffoni, 1473, tempera su tavola, 30x215 cm Musei Vaticani, Città del Vaticano

ERCOLE DE’ ROBERTI: I miracoli di San Vincenzo Ferrer (particolare) – Predella della Pala Griffoni, 1473, tempera su tavola, 30×215 cm Musei Vaticani, Città del Vaticano

“La mostra è inoltre concepita come uno strumento e una “macchina didattica” che consente di entrare nell’arte e nella creatività di questo singolarissimo artista. I disegni del trattato sono trasformati in modelli tridimensionali per illustrare al meglio la logica delle loro costruzioni geometriche, mentre una serie di macchine matematiche dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia riproducono scientificamente gli strumenti della bottega dell’artista rinascimentale, permettendo al visitatore di toccare con mano e comprendere gli accorgimenti tecnici adottati dai pittori per sfruttare creativamente gli inganni della visione”.

L’esposizione di Reggio Emilia ha in se tutta la positività di una mostra curata in ogni dettaglio, ricca di un progetto scientifico serio e lungamente studiato, non lasciato al caso o alla volontà di stupire, ma alla nobile e giusta volontà di creare cultura (generando anche un indotto economico) con un forte obiettivo didattico. Ma in una nazione che di tutto fa mercato e che tratta la Storia dell’arte e il proprio patrimonio culturale come cortigiana di basso borgo è difficile realizzare un evento espositivo di questo livello e così la mostra, pur avendo in sé il seme salvifico dello studio, non riesce mai decollare, restando fondamentalmente un evento in potenza o un’occasione perduta, forse a causa di prestiti mancati e sostituzioni che fanno, diciamolo, storcere il naso. Fa malissimo vedere la città ideale di Urbino (a cui è dedicata una intera sezione) presente solamente attraverso una riproduzione fotografica che, seppur di altissimo livello, ci priva della fondamentale osservazione fisica dell’opera. Fa ancora più male poi vedere che l’opera in questione è stata, nello stesso periodo, prestata alla discutibile esposizione dedicata a Leonardo in corso a Palazzo Reale di Milano. Si potrebbe (o forse si dovrebbe?) pensare che a vincere la povera guerra dei prestiti sia l’evento che assicura più euro d’affitto, o ancora peggio che, detto in parole povere, valgano più le volontà economiche che le esigenze scientifiche e di conservazione. Sempre più triste infine è vedere una brutta copia novecentesca, solitamente esposta in un qualche edificio ministeriale romano, del ritratto di Luca Pacioli attribuito a Jacopo de’Barbari del Museo Nazionale di Capodimonte che mai, come in questa esposizione, avrebbe trovato la giusta motivazione per uno spostamento dalla sua solita collocazione napoletana.

In ogni caso la piccola mostra di Palazzo Magnani riesce non solo a delineare un particolarissimo percorso nel complesso linguaggio espressivo di Piero della Francesca – “Monarca a li dì nostri della pictura e architectura” come lo definì Luca Pacioli nella Divina proportione (1509) – gettando nuova luce su un artista che ha tramutato la scienza in arte e che ha saputo influenzare, a distanza di tempo, le Avanguardie del primo Novecento e la pittura Metafisica (su questo è impossibile non citare il corposo catalogo caratterizzato dallo spiccare di alcuni piccoli saggi di buon valore tra un triste piattume grafico e discutibili riproduzioni fotografiche) ma ci ha fornito anche una preziosissima lezione di metodo: le mostre insegnano, non accantonano la nostra capacità critica, non ci emozionano soltanto, ci coinvolgono con quel bellissimo gioco che porta avanti il mondo nei secoli e che ci rende speciali: il pensiero. Un pensiero che non conosce barriere disciplinari e Piero lo sapeva bene.

A presto


FOTO DI COPERTINA: PIERO DELLA FRANCESCA, San Ludovico do Tolosa, 1460 affresco staccato, 123 x 90 cm, particolare, Museo Civico di San Sepolcro, San Sepolcro, Arezzo.


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