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Roma e l’altro Barocco: nascita di una pittura di genere.

La luce tra le oscurità delle scene dei bassifondi cittadini, in cui si confondono le storie di strani personaggi, mendicanti e zingari, indovini e imbroglioni, cominciano a raggiungere la ribalta nel corso del XVI secolo grazie alla letteratura picaresca che ne ricostruisce le avventure / disavventure, utilizzate non tanto per la voglia di realismo, accezione che tali storie acquisteranno con il tempo tingendosi anche di denuncia sociale, quanto nel loro potenziale insegnamento morale. Dalla letteratura il passo alla trasposizione teatrale è breve e di successo; nasce la Commedia dell’Arte e con essa vengono alla luce maschere fisse, retaggio della grande tradizione del teatro antico confluita nella più popolare realtà carnevalesca, che intrecciano le loro storie tra elementi scenografici altrettanto fissi permettendo allo spettatore di intuire già da subito lo svolgersi dell’azione. Ecco quindi che il signorotto vestito di piume e orpelli sarà sicuramente l’ingenuo raggirato dalla zingara dall’aspetto grottesco; la presenza di carte e del vino rimandano nell’immediato a uno scenario conviviale all’interno di una taverna che certamente si tramuterà in una zuffa tra i presenti.

Anonimo, cerchia di / Anonyme, cercle de Bartolomeo Manfredi, Bravo che fa un gesto volgare / Homme faisant le geste de la fica, c. 1615-1625, olio su tela / huile sur toile, Museo nazionale di Palazzo Mansi, Lu

Anonimo, cerchia di Bartolomeo Manfredi, Bravo che fa un gesto volgare, c. 1615-1625, olio su tela, Museo nazionale di Palazzo Mansi

L’interesse per tale tematica trova una sua brillante trasposizione anche in pittura già nel primo Cinquecento quando Giorgione comincia ad inserire ai margini delle sue tele immagini tratte dal mondo popolare; alla fine del secolo dallo sfondo questa realtà diventa soggetto ed ecco le opere di Vincenzo Campi (La ricotta, 1585) o di Annibale Carracci (Il mangiatore di fagioli, 1583). La grande rivoluzione la compie Caravaggio che non solo basa la sua produzione giovanile sui soggetti tratti direttamente dalla strada, vedi la tematica della “Buona Ventura” o del “Baro“, ma, rendendolo come una sorta di marchio di fabbrica, fa affluire all’alba del Seicento le scene degli ultimi nelle composizioni sacre. La “Vocazione di San Matteo” si svolge nell’ambiente scuro di una taverna e coglie il santo nella vile occupazione di contare i soldi; ugualmente i pellegrini che onorano la “Madonna di Loreto” della chiesa di Sant’Agostino sono veri contadini fiaccati dalla dura vita nei campi che ne logora le vesti e il corpo. L’innovazione portata dal Merisi sconvolge letteralmente l’ambiente romano tanto da influenzare la maggioranza delle maestranze attive nella capitale, da attirare pittori stranieri, per lo più francesi e fiamminghi, e da rivoluzionare il mercato dell’arte.

Le immagini di Caravaggio diventano quindi gli archetipi su cui fondare una vera e propria pittura di genere che caratterizzerà la produzione romana intorno alla metà del secolo. La spinta propulsiva di una così grande produzione è data in una maniera e con modalità straordinarie dal mercato; la prematura scomparsa dell’artista e quindi le limitate possibilità di potersi accaparrare un originale hanno incrementato la richiesta di opere che ricalcassero i passi del maestro tanto che un pittore, Bartolomeo Manfredi, brevetta una metodologia , la cosiddetta Manfrediana Methodus, per poter dipingere tanto più similmente al Caravaggio.

É in questo ambiente che nascono le opere oggetto della mostra: “I bassifondi del Barocco. La Roma del vizio e della miseria” ospitata a Villa Medici, sede romana dell’ accademia francese, dal 7 ottobre 2014 al 18 gennaio 2015, curata da Francesca Cappelletti e Annick Lemoine. Passeggiando tra le sale si scorgono brani di una pittura di genere che ci coinvolgono nella quotidianità romana seicentesca svelandoci scenari diametralmente opposti a quella che è l’immagine ufficiale della monumentale Roma barocca.

Giovanni Lanfranco, Giovane nudo sul letto con un gatto / Jeune homme nu au chat sur un lit, 1620-1622, olio su tela / huile sur toile, collezione privata / collection particulière

Giovanni Lanfranco, Giovane nudo sul letto con un gatto, 1620-1622, olio su tela, collezione privata.

L’esposizione è divisa in nuclei tematici che ci introducono alle varie tipologie di vizio e malcostume. Si inizia con il Soffio di Bacco, la tematica del vino e dell’ equivocità dell’ebbrezza, a spiccare sono “Il Bacco e il Bevitore” di Bartolomeo Manfredi e il bellissimo “Giovane nudo sul letto con gatto” di Lanfranco.

Si passa per la Taverna dissoluta e Bacco, Tabacco e Venere dove gli scenari carnevaleschi si confondono con quelle dei bamboccianti, seguaci di Pietro Van Lear detto appunto il Bamboccio e fautore di una pittura di immagini tratte dal mondo appunto dei bassifondi.

Nella sezione dedicata ai Divertimenti e inganni si ritorna nell’immaginario di personaggi loschi e grotteschi sempre pronti ad ingannare e tradire il prossimo ; il pezzo principale è indubbiamente la Buona Ventura di Simon Vouet che ricalca in toto l’archetipo caravaggesco. Interessante l’aspetto comunicativo delle tele, in quanto gli inganni non sono architettati solo ai danni degli sventurati sulla scena ma anche verso lo spettatore stesso, che si trova ad essere insultato attraverso gesti volgari, per lo più a sfondo sessuale, che i pittori fanno compiere ai loro personaggi.

Con la porzione dedicata ai Ritratti dei margini la mostra raggiunge, a mio avviso, il suo vertice grazie al capolavoro del Ribera; il “Mendicante” del pittore spagnolo non è solo un brano attentissimo di realismo, in cui ogni imperfezione del soggetto viene evidenziata e letteralmente portata alla luce, ma, soprattutto, una forte denuncia sociale. Tangibili sono infatti le condizioni di vita precarie che probabilmente interessavano gran parte della povertà romana.

Attraverso la Taverna melanconica: meditare sui piaceri si ritorna all’interno di immagini conviviali in cui però alcuni personaggi si estraniano dal gruppo principale per indagare, e condurre chi guarda nella stessa indagine, sulla vanità dei piaceri e della vita stessa; i pezzi principali sono indubbiamente “La riunione di bevitori” di Manfredi il “Concerto” di Nicolas Tournier e “la Vanità” di Angelo Caroselli, ritratto della meditazione melanconica un po’ meno inerente alla tematica della taverna .

L’ultima parte della mostra, Roma insolentita, apre ad un interessante, già quasi romantico, dialogo tra la grandezza dell’antichità romana e le nefandezze compiute dai romani dell’epoca. Le rovine diventano, quindi, l’ambientazione per scene di rapimento, di prostituzione, belle quelle dipinte da Claude Lorrain, o per dar riparo a comunità di mendicanti.

Nonostante l’esposizione nel suo complesso non porti rilevanti innovazioni soprattutto per quanto riguarda l’ambiente capitolino, i maggiori brani sono tratti dalle collezioni di palazzo Barberini e della galleria Borghese, interessante è l’indagine che lo spettatore riesce a compiere tra aspetti veramente concreti del mondo romano del Seicento attraverso la reinterpretazione che ne danno i pittori, probabilmente frequentatori abituali di tali situazioni. La forza della mostra è proprio il dialogo che si instaura tra chi guarda e gli scenari in penombra e i personaggi grotteschi sulla tela. Forse però manca una contestualizzazione generale di perché nasca una pittura così profondamente diversa rispetto all’immagine grandiosa della Roma barocca.


FOTO DI COPERTINA: Bartolomeo Manfredi, Riunione di bevitori, c. 1619-1620, Olio si tela, collezione privata.

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