Scrivere della mostra di Bramantino al Museo cantonale d’arte Lugano vuole dire scrivere dell’ultimo tassello di una ricerca complessa e in continuo divenire. Maria Cristina Terzaghi nella recensione della mostra “Il Rinascimento nelle terre ticinesi, da Bramantino a Bernardino Luini” (Rancate, Pinacoteca cantonale Giovanni Züst, 10 ottobre 2010 – 9 gennaio 2011) per l’Osservatorio Mostre e Musei della Scuola Normale Superiore di Pisa scriveva:
“Non è un caso che i cataloghi delle mostre Zenale e Leonardo. Tradizione e rinnovamento della pittura lombarda, allestita nel 1982 al Museo Poldi Pezzoli di Milano e Gaudenzio Ferrari e la sua scuola, curata nello stesso anno da Gianni Romano per l’Accademia Albertina di Torino, appaiano vissuti e consunti negli scaffali delle biblioteche universitarie milanesi, nonostante la buona volontà di chi li ha gratificati di molteplici legature. Essi rappresentano infatti le letture culto, l’Abc di almeno due generazioni di studenti che, per una decina di anni, a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, si sono formate su quei volumi, imparando non tanto e non solo a riconoscere le peculiarità stilistiche dei maestri del Rinascimento tra il Piemonte e la Lombardia, ma soprattutto il metodo per condurre una seria ricerca storico artistica. Chiunque abbia preso in mano quei testi sa, ad esempio, che il tramezzo affrescato da Bernardino Luini nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Lugano è uno dei momenti più alti del linguaggio figurativo del grande maestro milanese, seppur dislocato molti chilometri a Nord della capitale del Ducato.”
Per conoscere e comprendere l’ambiente così complesso e ancora così poco studiato della Lombardia quattro e cinquecentesca è impossibile non passare da uno studio approfondito delle opere citate. Due cataloghi rispettivamente di due mostre dall’altissimo valore scientifico, come oggi raramente abbiamo l’onore di poter sfogliare. Due cataloghi frutto di mostre non risultato “di una mediocre ‘sottopolitica’ ” ma di ricerca vera, seria.
Da quella recensione bisogna però aggiungere alcune nuove opere che hanno segnato profondamente la ricerca in ambito milanese, a partire dal saggio di Giovanni Romano sul Rinascimento Lombardo edito da Feltrinelli dalla cui lettura “si può misurare la difficoltà di un capitolo di studi che pone problemi sostanziali agli storici dell’arte: non soltanto di successione cronologica delle opere, ma anche di scarsità di attestazioni scritte che consentano di chiarire la provenienza di affreschi staccati e tavole approdate nel tempo alle istituzioni museali milanesi dai contesti originari” (Daniele Giorgi).
Due sono invece le mostre che si aggiungono (con i rispettivi cataloghi, entrambi editi da Officina Libraria) alla base degli studi sui cui Mauro Natale ha innestato e costruito l’esposizione luganese: la già citata “Rinascimento nelle terre ticinesi, da Bramantino a Bernardino Luini” curata da Giovanni Agosti, Jacopo Stoppa e Marco Tanzi, dove la strada verso la “maniera moderna” non è individuata soltanto nel tortuoso percorso della sua affermazione, ma viene documentata anche nei suoi esiti più straordinari, come la Fuga in Egitto, eseguita per il Santuario della Madonna del Sasso di Orselina e presente (dopo un interessante restauro) anche nella nostra, e “Bramantino a Milano” sempre a cura di Agosti, Stoppa e Tanzi nella quale venne realizzato un impressionante scavo erudito e documentario e nel cui catalogo Roberto Cara ha realizzato in tempi brevissimi un prezioso regesto delle menzioni archivistiche relative alla vita del Suardi.
La mostra “Bramantino, L’arte nuova del rinascimento lombardo” (Museo Cantonale d’arte di Lugano, fino all’11 gennaio 2015) è cresciuta sui risultati di questi studi, anche di quelli più recenti, “sebbene la sua progettazione risalga a più di quattro anni addietro, come dichiarato da Natale. Questa esposizione ne è anzi il frutto diretto, perché le ultime acquisizioni hanno obbligato a ripensare radicalmente la cronologia delle opere di Bartolomeo Suardi detto il Bramantino (doc. 1480–1530) così come si era provvisoriamente assestata in seguito alle proposte, non del tutto coincidenti ma “in confronto dialettico”, di Giovanni Romano e di Alessandro Ballarin.
Natale, con la collaborazione di Edoardo Rossetti, nelle sale (bisogna dirlo) antiquate del Museo Cantonale svizzero, organizza una mostra che presenta al pubblico numerose novità, nuove ipotesi, consistenti ricerche e nuove attribuzioni, andando a creare un itinerario culturale ed espressivo dell’artista a partire dagli esordi, secondo una sequenza cronologica ragionata e relativamente nuova rispetto alle proposte fino ad ora formulate dagli studiosi.
Sebbene il soprannome di Bramantino lo qualifichi come un seguace di Bramante, Bartolomeo Suardi non è mai stato un semplice allievo del maestro. Il Suardi sviluppa molto presto un linguaggio completamente autonomo, di straordinaria originalità “trasformando progressivamente la plastica e ruvida espressività dell’arte lombarda della seconda metà del Quattrocento, in una misura “senza errori” e volutamente “spersonalizzata”, capace di soddisfare le esigenze della nuova clientela francese che dopo la sconfitta di Ludovico il Moro (1499) governa e amministra Milano e la Lombardia.” (M. Natale). Ed è proprio in questo ambiente politico così complesso e difficile che arriva a Milano Bramante (con Leonardo punto fermo della successiva scuola lombarda) presente in mostra con la celeberrima Incisione Prevedari del British Museum di Londra, e che segna, con la sua architettura nuova, sempre più profondamente il clima milanese in cui un giovanissimo Bartolomeo muoveva i primi passi nella bottega di un orefice (1480 – 1486 circa), forse Francesco de Caseris. Da qui si avvicina al pittore Bernardino Butinone, grazie al quale, molto probabilmente nei cantieri di Santa Maria presso San Satiro, conosce personalmente il Bramante da cui carpirà ogni segreto.
Qui finiscono le ipotesi, basate su analisi stilistiche e formali delle prime opere documentate, ed inizia la certezza storica (seppur molto labile) in quanto in un documento del 1489 inerente il cantiere di San Satiro, Bartolomeo Suardi compare per la prima volta con il soprannome di Bramantino. Siamo ora difronte alla più antica testimonianza di un rapporto stretto tra il più anziano maestro marchigiano e il giovane lombardo, probabilmente attivi per diversi anni nei medesimi cantieri, come dimostra la figura dell’Argo, affrescata sulla parete sovrastante la porta di accesso al camerino del tesoro in una sala della Rocchetta del Castello Sforzesco di Milano, frutto di una ipotetica collaborazione tra i due artisti.
Di questi anni giovanili sono anche due delle opere più belle presenti in mostra: l’Adorazione dei Magi della National Gallery di Londra e la struggente favola profana di Filemone e Bauci del Museo di Colonia dipinta su un grande foglio di pergamena. Inserite dal curatore in una interessante sezione intitolata “Bramantino e le arti preziose”, queste opere dimostrano come l’esperienza acquisita dal pittore durante il suo apprendistato come orafo lasci evidenti tracce nelle opere di piccolo formato, influenzando anche i contemporanei miniatori e orafi lombardi come il cosiddetto Maestro delle Ore Landriani, da identificarsi forse con quel Princivalle Negri che nel 1487 affitta una casa allo stesso Suardi.
La mostra continua arrivando rapidamente alla svolta del nuovo secolo, quando (dopo un effimero tentativo di restaurazione sforzesca) dall’aprile del 1500, Milano diventa la capitale dei domini italiani del re di Francia. Bramante ha verosimilmente già lasciato la Lombardia nella primavera del 1499 dopo la morte dell’amico e mecenate Gaspare Ambrogio Visconti; Leonardo da Vinci si allontana da Milano poco dopo, lasciando libero il campo agli artisti locali. Bramantino diventa quindi l’interlocutore privilegiato dei nuovi dominatori e del milanese Gian Giacomo Trivulzio, rientrato in patria alla testa delle armate francesi. Davanti a lui si apre la strada di un solido e straordinario successo. Proprio di questa fase è l’affresco staccato del Noli me tangere (che a metà del percorso espositivo) introduce la scelta del Suardi per uno stile monumentale che conferisce alle figure una presenza incombente inserite in un paesaggio realizzato (e questa è una novità frutto delle più recenti scoperte) al quale sottostà sempre un precisissimo studio prospettico frutto di una straordinaria preparazione in materia.
Lo stile straordinariamente moderno del Bramantino influisce precocemente, già nel primo decennio del cinquecento, sulla scena artistica lombarda. Prova ne sono le opere di Bernardo Zenale, Bernardino Luini e Gaudenzio Ferrari presenti in mostra che del Bramantino e del suo stile fortemente innovativo sono grandi debitori. E mentre il nostro influisce sull’arte contemporanea la sua carriera continua avvicinandosi ancora di più, nonostante il favore sempre più pronunciato dei francesi, al mondo dei ricchi mercanti milanesi raggruppati nei molti luoghi pii cittadini e non, come dimostra la grande commissione per il ciclo di arazzi con le allegorie dei mesi per Gian Giacomo Trivulzio.
“L’epurazione delle forme operata da Bramantino e la sua intransigente fedeltà alle regole della prospettiva e delle proporzioni danno vita ad una serie indiscussa di capolavori”, che Natale sfodera, uno dopo l’altro, con l’abilità di un curatore che abitua l’occhio dello spettatore, sala dopo sala, fornendo tutti gli elementi per una seria e profonda comprensione. E così lo splendido Compianto del Museo Nazionale di Bucarest, dove il pittore ambienta la scena in una dimensione storica indefinita, destinata ad evocare i tempi remoti delle origini del Cristianesimo, tanto decantati e sognati dal concilio dissidente milanese, porta il visitatore all’osservazione di un altro già citato capolavoro come la Fuga in Egitto realizzata tra il 1515-1520 per il santuario della Madonna del Sasso a Orselina, unica opera del pittore conservata sul territorio ticinese.
Si giunge così alla conclusione del percorso e dopo un confronto serrato con Bernardo Zenale, che affianca prima il più giovane Suardi nella decorazione del perduto organo di Santa Maria di Brera e poi come perito di architettura nella fabbrica del Duomo e ancora come pittore nell’ultima fase della sua carriera, il pubblico giunge al grandioso epilogo.
“La solennità delle figure e il rigore delle prospettive dipinte dal Suardi segnano a lungo una corrente della pittura lombarda”. Nelle sue ultime opere si riconosce ormai la mano di un maestro che non ha mai avuto timore, in tutta la sua lunga carriera, dello studio dei suoi contemporanei e del mettersi in discussione cambiando gli schemi tipici della sua produzione, in un continuo divenire e voglia di innovazione che lo rendono sì, di difficile comprensione e riconoscimento, ma di indiscussa importanza. Il suo erede sarà “Giovanni Paolo Lomazzo (1538- 1600), la cui decorazione affrescata della cappella Foppa in San Marco a Milano (1565) costituisce un appassionato ed estremo omaggio al maestro milanese”, purtroppo non presente in mostra.
Il progetto espositivo svizzero si era posto l’obiettivo, come dichiarato da Marco Franciolli (Direttore del Museo Cantonale d’Arte) di evidenziare la centralità del Bramantino come artista di passaggio tra la crisi culturale e il rinnovamento figurativo che segnarono con forza la Lombardia a cavallo tra Quattro e Cinquecento. L’obiettivo è stato raggiunto. A conclusione della mostra non si può non rendersi conto dell’importanza di questa esposizione magistrale che segna un nuovo passo per diradare le nebbia su un artista avvolto dalle spire della storia. Questo passo è pesante, ha 400 pagine, 259 illustrazioni a colori (molte frutto di nuove campagne fotografiche) e si chiama Catalogo e, a Lugano, torna a chiamarsi come tale, abbandonando finalmente il puro ruolo di souvenirs da sfogliare amabilmente la sera al ritorno dalla gita culturale fuori porta.
Solitamente non mi dilungo sulla pubblicazione che accompagna la mostra, ma nel caso in questione non posso esimermi dal scrivere alcune parole. Skira editore pubblica un testo che definire solamente tale è vergognosamente riduttivo, quello di Lugano è finalmente uno STRUMENTO di studio, con saggi chiari dalla lunghezza non chilometrica che permettono una lettura agevole e mai noiosa, un capitolo finale di Approfondimenti critici innovativi e di estremo interesse e delle schede di catalogo di buona fattura. Schede delle opere esposte precise e puntuali, ricche di dati e informazioni delle più recenti ricerche (molte accompagnate a conclusione anche da un piccolo riquadro con immagini e osservazioni tecniche di recenti indagini diagnostiche), quasi dei piccoli saggi dall’alto valore scientifico. Un acquisto impegnativo (45 euro) che diventa però quasi obbligato da una altissima qualità che lo renderà testo principe per gli studi dei prossimi anni.
Su tutta questa qualità una sola macchia spicca con una potenza disarmante: l’allestimento. Le sale del Museo Cantonale sono vecchie e non adatte ad una mostra così bella. L’attenzione maniacale della scelta del curatore per i prestiti, si scontra con un allestimento vecchio e quasi fieristico (vista la sua estrema semplicità), che annienta alcune opere disperse in pareti troppo grandi o coperte da vergognosi riflessi di vetri e di una illuminazione discutibile.
Sul lungo lago di Lugano una buona mostra aspetta non semplici spettatori, ma veri visitatori, pronti ad osservare, e non a guardare, la storia dell’arte, perchè “sappiamo ormai da tempo che l’analisi della misura espressiva di un artista, del suo stile, non può essere disgiunta da una conoscenza adeguata dei materiali e delle tecniche con cui il linguaggio figurativo prende forma. Per questa ragione, le esposizioni temporanee possono essere l’occasione irripetibile per verificare questa necessaria coincidenza di dati; ed è per questo che la convocazione delle opere simultaneamente, in un unico luogo, rappresenta un’esigenza a cui non è possibile rinunciare.”
a presto
Rò
FOTO IN COPERTINA: Bartolomeo Suardi, detto il Bramantino, Storia di Filemone e Bauci, 1490-1495 ca. tempera su pergamena su tavola 60 x 80,2 x 1,5 cm Colonia, Wallraf-Richartz-Museum & Fondation Corboud © Rheinisches Bildarchiv Köln