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Renato Guttuso, illustratore dell’umano

Per la storia dell’arte italiana Renato Guttuso è una sorta di intoccabile mostro sacro.
 Lo abbiamo visto attraversare tutto il Novecento, decennio dopo decennio, ragazzino in una Sicilia permeata dalla tradizione dei carretti dipinti; lo abbiamo visto innamorarsi di Goya e Delacroix al liceo e Picasso e Cèzanne in gioventù; fermamente anti-Novecentista negli anni del Fascismo e partigiano con una riproduzione della Guernica in tasca durante la Seconda Guerra Mondiale. Lo abbiamo visto passare da un realismo crudo ed espressionista, un occhio a Caravaggio e uno alle avanguardie europee, ad un naturalismo più essenziale, per rispetto delle direttive del Partito Comunista. Lo abbiamo visto sperimentare la pop-art e la scultura negli anni Sessanta, omaggiare la sua Sicilia nei Settanta. Lo abbiamo visto continuare a produrre, instancabile come pochi altri, fino alle soglie degli anni Novanta.

Pittore, partigiano, personaggio pubblico, militante politico. Pochi sanno che Renato Guttuso è stato anche un prolifico illustratore.

Che cos’era l’illustrazione, per Renato Guttuso?

 Renato Guttuso era un amante della letteratura. Era un artista colto, interessato ai classici come alla narrativa americana contemporanea. Era amico di scrittori e letterati italiani e stranieri -uno tra tutti, Elio Vittorini, compagno di vita e di lotta politica. Ed è proprio grazie a Vittorini che avvenne il suo esordio come illustratore quando, nel 1943, prestò la propria mano per illustrare il romanzo Conversazione in Sicilia.

Da quel momento, e fino agli anni Ottanta, furono decine i testi di prosa e di poesia ad essere illustrati dall’artista siciliano. Si passa da Addio alle armi di Ernest Hemingway ad un’antologia di poesie di Pablo Neruda, da I Miserabili alla Divina Commedia, passando da Boccaccio a Manzoni.
Perché questo interesse per un’attività ritenuta, spesso a torto, meno prestigiosa rispetto alla grande pittura su tela?

Come accennato prima, il segreto dell’illustrazione sta proprio nella sua immediata comunicabilità. Guttuso si era sempre descritto come un uomo del popolo, per il popolo. Partigiano prima, iscritto al Partito Comunista poi, e per tutta la vita profondamente coinvolto nelle questioni sociali che animavano la classe operaia italiana. E per arrivare al cuore di questa classe operaia, per poterle parlare, serviva qualcosa che fosse diretto, fruibile e che si diffondesse con facilità.
E nulla poteva diffondersi con più facilità di una illustrazione per una rivista.
Nel corso della propria vita Guttuso collaborò, in veste di illustratore, con un gran numero di riviste e periodici. Era un modo per riallacciarsi, nemmeno troppo implicitamente, ad una tradizione che affondava le proprie radici nel secolo precedente: quella dei romanzi “a puntate”, pubblicati sui giornali e resi così accessibili ad un pubblico estremamente vasto, che comprendeva lettori di qualsiasi estrazione sociale -purché, ovviamente, alfabetizzati.

Non c’è da stupirsi, quindi, che Guttuso avesse contribuito con così tanto entusiasmo a realizzare serie di tavole illustrate per dei quotidiani: ciò era perfettamente in linea con i suoi principi ideologici e con la sua eredità culturale. Cresciuto osservando le pitture dei carretti siciliani, i cui soggetti spaziavano da episodi del Ciclo Arturiano a scene di storia antica e moderna, si era appropriato del loro stile vivido ed immediatamente comunicativo, e ad esso aveva sommato, nell’illustrare Hemingway come Manzoni, la propria esperienza personale di artista politicamente impegnato tra le file del Partito Comunista.

Comunicare, quindi. Comunicare con immediatezza e semplicità con un pubblico il più vasto possibile. Scavare all’interno del testo, estrapolarne i significati, ricondurli alla propria vicenda esistenziale ed universalizzarli.

Il risultato sono centinaia di tavole, quasi tutte a china e ad acquerello, dai colori vibranti e percorse da un nervoso dinamismo. Affiancano la nostra lettura ed entrano nel cuore della narrazione, afferrando i personaggi e facendoli materializzare davanti ai nostri occhi. Grazie alla mano di Guttuso prendono vita Renzo e Lucia e Jean Valjean, la Selva di Dante e le taverne delle novelle del Decameron.
Appare, vividissimo d’innanzi al nostro sguardo, tutto un intero universo di personaggi: letterari, sì, ma spogliati di qualsiasi aura mitica, e sentiti vicini al nostro vissuto.

Salvo in rari casi, l’occhio di Guttuso è, infatti, impietoso. Si sofferma sugli elementi più crudi, sui dettagli più diretti: in una parola, si sofferma sul quotidiano. Ed è un quotidiano fatto di piccole scaramucce e di grandi lotte ideologiche, di miseria e di avidità, di sacro ma, soprattutto, di profano.
La letteratura è il mezzo attraverso il quale egli sceglie di ritrarre la condizione umana, immutata secolo dopo secolo, uomini e donne spesso preda dei propri istinti e dei propri sensi.
Ed ecco qual è l’elemento veramente straordinario delle illustrazioni di Renato Guttuso: la loro violenta e gridata umanità, il loro essere sempre e comunque attuali, il loro voler raccontare non solo il passato, ma anche, e soprattutto, il presente.

Un’opera letteraria è immortale.

Attraversa i secoli, e attraversandoli cambia con essi, e muta la propria pelle. Muta, ma non muore mai. Ed è questo che Guttuso, con la propria opera, cerca di farci capire: la letteratura è viva, e vivi sono i suoi personaggi. Così vivi da potersi trasformare in ognuno di noi.

Così vivi che forse, anche ora, da qualche parte, c’è un Dante che sta salendo il monte del Purgatorio per espiare i propri peccati, e c’è un Innominato che riflette sugli errori commessi nella propria vita mosso dalle lacrime di una Lucia, e ci sono un un Enjolras e un Grantaire che muoiono su di una barricata, uno a fianco dell’altro, combattendo per un mondo migliore.

IN COPERTINA: Renato Guttuso, “La stamberga Gorbeau”, illustrazione per “I Miserabilidi” di  Victor Hugo, 1966

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