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Ferma e immobile, imputridisce.

È difficile far morire una città. I cittadini dell’Aquila, nonostante un terremoto devastante, che li ha costretti ad abbandonare le proprie case e a vivere in New Town periferiche e de-socializzanti, costruite senza una reale progettazione se non quella di una campagna elettorale per un governo del presunto “fare”, ce lo insegnano ogni giorno con la loro straordinaria forza e attaccamento alla propria città.

Ma nel Meridione d’Italia in una città di nome Foggia, sembra che alcuni cittadini e i loro amministratori ci stiano riuscendo o abbiano, per lo meno, il progetto di farlo. E ci riescono annientando il patrimonio culturale del capoluogo e della sua provincia, eliminando le già poche testimonianze storiche della città, nel più assoluto silenzio. Foggia e i foggiani sembrano voler dimenticare ogni traccia del proprio passato. Vivono in una città ormai cadavere che ogni giorno si decompone e collassa preda dell’indifferenza, dell’ignoranza e dell’avidità, rispettivamente di cittadini, amministratori e “palazzinari”.

Tra i pochi vicoli storici rimasti, in una città ormai divenuta l’emblema dell’orribile ricostruzione  post-bellica, scomposta e disorganizzata, si nasconde un gioiello del barocco pugliese che per anni è rimasto murato e fino al 2009 destinato alla demolizione: la chiesa di Santa Maria della Misericordia.

Nel 2009 una collaborazione tra l’Arcidiocesi di Foggia-Bovino (proprietaria dell’immobile), il Comune di Foggia e la Regione Puglia, portò alla decisone di restaurare il tempio costruito nel 1650. I restauri furono veloci, la chiesa del Purgatorio in gravi condizioni di conservazione, venne riportata all’antico splendore e una serie di collaborazioni con l’Università di Foggia portò alla scoperta di alcuni ambienti sotterranei che potrebbero essere ricondotti all’antico palazzo federiciano.

Dopo una spesa a carico dello stato (legge 248/2005) e regione (Por 2000-2006, Pis 12 “Itinerario turistico-culturale normanno svevo angioino”, Misura 12.1) di quasi 2 milioni di euro (1.830.507,18 per la precisione) il cantiere viene smontato e l’edificio viene abbandonato a se stesso, o meglio, in preda ai vandali.

Il 12 settembre 2011 su Stato Quotidiano, Piero Ferrante già denunciava la scandalosa situazione della chiesa del Purgatorio scrivendo:

“Per un certo periodo, si era anche parlato di chiudere lo spazio al culto ed aprirlo alla cultura, facendone un contenitore in perfetta continuità storica, simbolica e logistica con il Museo Civico del Capoluogo. Lo aveva paventato Giuliano Volpe, pubblicamente, una domenica mattina in cui accompagnò un paio di giornalisti a fare un giro nei locali interessati dai lavori. Già diceva si stavano ricercando le collocazioni delle teche.”

Peccato che anche il lungimirante rettore dell’università di Foggia (ultima speranza per questa città) non sia riuscito a fare nulla e ora l’edificio necessita di un nuovo intervento. Si perché 10 delle 14 grondaie in rame sono state rubate e ora la pioggia esce dai tubi divelti a circa tre metri d’altezza scorrendo sui muri e vanificando il lunghissimo lavoro di restauro per l’eliminazione delle infiltrazioni d’acqua. Acqua che scende copiosa anche dalle finestre che qualche simpatico individuo ha pensato bene di utilizzare come obiettivo di un demenziale, quanto delinquente, tiro al bersaglio.

Il tutto si completa con la collocazione della struttura in una zona non propriamente raccomandabile ai rarissimi appassionati (non certo turisti) che decidono di visitare, almeno esternamente, la chiesa. Un quartiere che oltre ad una nuova pavimentazione che potesse connotarlo come parte del centro storico, non è stato mai oggetto di nessun programma di riqualificazione urbana e sociale, ma che anzi, con il passare del tempo e l’aggravarsi della situazione economica e sociale della città, si trasforma in un quartiere ghetto dalla frequentazione davvero poco piacevole.

La piccola Piazza del Purgatorio (a mio parere un piccolo gioiello se adeguatamente restaurata e valorizzata), sulla quale si affaccia uno dei più bei palazzi della seconda metà settecento (Palazzo Nicastro) è ormai territorio per un parcheggio selvaggio e scomposto o luogo di incontro di giovani il cui passaggio “è esplicato dalla presenza di scritte dementi e simboli osceni, tanto sulla nuovissima porta della canonica quanto sulla facciata stessa”.

La cosa che più dovrebbe infastidire i foggiani, che indignati devono pretendere la riapertura del tempio, è sapere che la chiesa è forse una delle più interessanti di tutta la città. Emiliana Erriquez in un articolo dal titolo “Risplende il barocco di Foggia”  del sito web foggiaefoggia.com, scriveva:

“Nella chiesa dei Morti o del Purgatorio, tuttora in restauro, erano ubicate 14 tele lungo le pareti laterali con gli stemmi delle famiglie che le avevano commissionate, tra cui la famiglia Vidman, funzionari della Dogana delle pecore originari di Venezia. I dipinti rappresentavano le opere di misericordia di corpo e spirito, forse risalenti al Brunetti.”

Parliamo cioè, in una piccola città di provincia come era Foggia nel Seicento, di una delle commissioni artistiche più importanti del secolo. Quattordici tele, che se anche di non straordinario valore estetico, diventano una delle rare testimonianze di un ambiente culturale attento al gusto artistico di una Napoli capitale, che nel Seicento si impone come straordinario centro di produzione artistica. Prova di ciò è la scelta di affidare nel 1686, da parte della confraternita dei morti, ai due marmorari lucchesi, Antonio e Lorenzo Fontana, la realizzazione dell’altare e a Lorenzo Vaccaro e Pietro Ghetti le due sculture del San Michele e dell’Angelo custode.

Le tele sopravvissute al terremoto al 1731 e ai bombardamenti del 1943, ampiamente rimaneggiate negli anni, grazie alla Fondazione Banca del Monte in collaborazione con FAI (Fondo Ambiente Italiano), delegazione di Foggia, Unitre e l’associazione Qualità della Vita sono state oggetto di un profondo restauro conservativo che (come ha spiegato Loredana Mastromartino, curatrice del restauro, durante la conferenza stampa di lunedí 21 dicembre 2009 presso la sede della fondazione Ceci) “ha comunque rispettato ció che il dipinto ha subito nel corso degli anni” in quanto facente parte dell’opera stessa. Al momento della scrittura dell’articolo di Emilana Erriquez i dipinti restaurati erano sei (compresi due che vennero poi presentati a gennaio) e sono, almeno credo, ancora conservati nel Museo Diocesano di Foggia.

Ora la domanda nasce spontanea: quando verranno ricollocati (insieme al quadro di scuola napoletana dell’altare maggiore) nel loro luogo originale? Quando la chiesa verrà riaperta al pubblico di studiosi, appassionati o semplicemente fedeli?

Credo che la cittadinanza meriti come minimo delle risposte, ma mentre i piccioni entrano ed escono della finestre distrutte, coprendo di guano il prezioso altare marmoreo appena restaurato, mentre il soffitto ligneo a cassettoni del 1683, sopravvissuto al disastroso terremoto del 1731, marcisce lentamente, la città vive in attesa di sapere chi potrà salvare dall’inesorabile declino il Foggia calcio, non rendendosi conto che la “carne della città”, cioè la sua memoria, già inizia a decomporsi.

Palazzo Trifiletti Giovese, Foggia, veduta del cortile interno

Palazzo Trifiletti Giovese, Foggia, veduta del cortile interno

Ma la chiesa seicentesca restaurata con fondi pubblici non è l’unico scandalo della antica sede imperiale. Tralasciando la vergognosa storia del Teatro Giordano, che ancora chiuso dopo un lungo restauro continua a morire nel silenzio di quelle note mai suonate a causa di un continuo rimandare delle amministrazioni comunali, tralasciando anche la triste e ormai conosciutissima vicenda dell’abbandono dell’ipogeo della Medusa e degli scavi di Arpi e del loro continuo saccheggio da parte dei tombaroli, non si può tacere davanti ad uno spettacolo doloroso e inquietante come quello di Palazzo Trifiletti Giovese.

A soli 140 metri dal Municipio, dalla storica sede della Provincia (Palazzo Dogana), dalla Prefettura e dalla sede dell’Accademia di Belle arti, giace in assoluto abbandono, murato e fatiscente, uno straordinario esempio di Palazzo signorile settecentesco, con cortile interno, degno dei più bei palazzi della nobiltà napoletana di fine secolo (foto di apertura).

È difficile credere che il Sindaco o il Presidente della Provincia non siano a conoscenza del Palazzo vista la sua posizione centrale (corso Garibaldi) a pochissimi passi dalle sedi delle loro istituzioni. Come fanno a sopportare (loro, come i cittadini foggiani) l’urlo disperato e assordante che si alza da un rudere di un glorioso passato che pian piano crolla irrimediabilmente su se stesso? Come fanno a non rabbrividire e indignarsi di fronte a questa orribile piaga virulenta che si apre nel corpo della loro amata città in decomposizione? Fino a quando saranno in grado di essere così indifferenti? Lo saranno fino a quando la Sovrintendenza, che nulla fa per proteggere il tessuto storico della città, non dichiarerà irrisolvibile la situazione del Palazzo, approvando la sua distruzione e qualche speculatore edilizio lo abbatterà per costruire l’ennesimo, mostruoso, squallido condominio?

Perché in tutti questi anni nulla si è fatto? Eppure bello sarebbe realizzare un museo per ricordare la storia della città, i suoi bombardamenti nel 1943, i 20’000 morti, creare uno spazio per mostre temporanee di alto livello qualitativo, magari dedicate proprio a quel barocco pugliese così spesso dimenticato, o ancora meglio un nuovo museo per dare maggiore risalto alla collezione della Pinacoteca 900 o, perché no, ulteriori spazi per l’Università di Foggia,  che sotto la straordinaria guida di Volpe, nuova linfa sembra dare alla capitanata.

Foggia sta cercando di morire, cancellando e dimenticandosi del proprio patrimonio. O forse è già morta. Come un cadavere in mezzo al grano giace nella campagna del Tavoliere sotto il caldo favonio estivo. Quel grano che prima era il vanto di una Fiera dell’agricoltura Internazionale, conosciuta in tutto il mondo, ma che adesso ogni anno si assottiglia sempre più. Un cadavere in avanzato stato di decomposizione, dove piccole e grandi piaghe si aprono con orribili miasmi, dove il ventre ormai squarciato lascia vedere un gruppo di budella lacere e livide, un marciume nero (quello delle colpe e delle responsabilità) che scola da tutti gli orifizi.

Chi può scappa, non senza dolore. Chi non può, resiste. Chiude gli occhi e tappa il naso, facendo finta di nulla, continua a vivere. Gli altri, troppi purtroppo, come insetti si nutrono di questo corpo morto, come vermi bullicano e si aggomitolano in quel sangue corrotto, invischiati in quella putredine entrano ed escono ed i più satolli vanno e vengono, gorgogliano e rigorgogliano tra le strade e la case. L’odore adesso è troppo, il miasma eccessivo, le decomposizione troppo avanzata, come si fa a non sentire?

Ma nulla, Foggia perde la sua memoria, se ne priva lasciando sgretolare i palazzi e le chiese, chiudendo un teatro ed eliminando stagioni di lirica o di prosa, lasciando il centro storico in mano a vandali e delinquenti, trattando la propria villa comunale come il peggior parco cittadino, abbandonando la regia Masseria Pantano alla distruzione del cemento, lasciando la regia Masseria Giardino allo squallore del tempo, spegnendo le proprie fontane, regalando i resti della antica Arpi ai tombaroli.

Lasciandosi andare, Foggia, ferma e immobile, imputridisce.

A presto

Rò.

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