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La Volgarità di Firenze e la primavera del Rinascimento.

“Firenze è una città volgare. Tale volgarità […] non consiste tanto nella pacchianeria di una bellezza resa venale, e che contrasta peraltro con le deplorevoli condizioni in cui la città stessa è tenuta, al di là di ogni colore dell’amministrazione del momento. […] Credo che Firenze, più che ogni altro luogo italiano, abbia saputo coagulare quasi magicamente in sé la volgarità che  aleggia sull’Italia contemporanea (come forse su certi altri paesi europei) fino a farne una sorta di Weltanschaung, una specie di cappotto che l’avvolge, una spaventosa anima collettiva a cui nessuno sfugge e che significa spocchia, intolleranza, grossolanità. Insomma, la quintessenza dell’atteggiamento di un Paese che è stato povero come l’Italia e che all’improvviso è diventato ricco, senza che dell’appartenenza sociale, della borghesia che ha caratterizzato la civiltà europea, abbia posseduto la cultura. Ciò che anni fa prevedeva Pasolini, la spaventosa mutazione antropologica rivolta verso una omologazione del Brutto (inteso nel senso più lato) ha trovato paradossalmente in questa città rappresentante del Bello la sua più visibile epifania”

 Antonio Tabucchi, Gli zingari e il Rinascimento. Vivere da Rom a Firenze, Feltrinelli, Milano 1999, pp.8-9

 

Così scriveva il grande Tabucchi nel 1999, e penso non esistano parole migliori per descrivere la prima città italiana diventata il principio e il prototipo per una “disneyland pseudo culturale” dei centri storici delle città d’arte italiane.

Ovunque tra le strade del centro storico, negozi e bancarelle dedite a vendere orribili e disgustosi grembiuli con foto del torso del David di Michelangelo, con tanto di membro in bella vista da utilizzare per divertire (almeno così credono i venditori e i non pochi acquirenti) gli amici e gli ospiti.

Ovunque tristi e orribili imitazioni dell’artigianato in pelle delle storiche botteghe fiorentine ormai scomparse da anni. Ovunque turisti molesti, indisciplinati e mostruosamente incivili che si stendono, si accoppiano, si sdraiano e mangiano, nella loggia dei Lanzi e in altri luoghi, come fossero nella camera di uno squallido Motel di quarta categoria vista tangenziale, lasciando segni inconfondibili del loro passaggio che manco Attila e i suoi.

Firenze è una città volgare. Dove il Brutto sembra sul punto di oscurare la bellezza di un glorioso passato, dove di tutto si fa mercato, anche della Galleria più famosa al mondo che può essere affittata per poche migliaia di euro da una popstar capricciosa e psicologicamente instabile che fa “sostituire la tazza del cesso del proprio albergo, turbata all’idea di poggiare le natiche su uno smalto promiscuo” (T.Montanari).

“E, come ha detto in un improbabile momento di illuminazione Sergio Marchionne, Firenze è una città piccola e povera: una città che letteralmente muore di fame culturale e spirituale” (T.Montanari, Le pietre e il popolo restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane, Minimum fax)

Ma in questo clima di distruzione post bellico, dove tutto è buono e bello in facciata ma marcio e brulicante di vermi all’interno, un’istituzione propone, seppur  timidamente, una bella esposizione temporanea, dedicata non solo agli addetti ai lavori, ma anche ad un pubblico più vasto che, purtroppo, fatica comunque ad immergersi in una mostra più ricercata di un semplice elenco di opere (vedi le mostre di Goldin).

E così a Palazzo Strozzi con il titolo: “La primavera del Rinascimento; la scultura e le arti a Firenze 1400-1460” si può visitare una mostra a cura di Beatrice Paolozzi Strozzi e Marc Bonnard, promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e il Musée du Louvre e visibile nella sede italiana fino al 18 agosto 2013.

Inutile dire che la mostra (e di conseguenza il ricco catalogo) si presenta fin dal principio come un importante occasione di studio della genesi di quello che ancora oggi alcuni definiscono il “miracolo” del ‘400, ma sopratutto si caratterizza per la volontà di far comprendere come sia la scultura a “traghettare” le arti nel “nuovo mondo” del Rinascimento. La scultura infatti, detiene fin dalla primissima sala il ruolo di protagonista indiscussa della mostra che si suddivide in 10 sezioni portando per mano anche il turista inesperto, ma curioso, alla scoperta di opere per la prima volta riunite in un’unica sede espositiva.

Il visitatore è accolto da una ricca sezione (L’eredità dei padri) dedicata alla riscoperta dell’antico già individuabile tra la fine del 200 e la prima metà del 300 come dimostrano le opere di Nicola e Giovanni Pisano, Arnolfo, Giotto, Tino di Camaino e dei loro successori, come Jacopo della Quercia presente in mostra con una straordinaria e rara opera lignea (il San’Ansano del  1410).

L’eta nuova del Rinascimento si apre di fronte allo spettatore con un tripudio per gli occhi. Le due formelle del concorso del 1401, una accanto all’altra, sormontate dal modello ligneo di Brunelleschi per la cupola di Santa Maria del fiore, sono esposte al centro della sala. Non potete immaginare la mia emozione nel trovami solo, nella sala praticamente deserta, a distanza ravvicinata con quelle due opere simbolo di un epoca, ragione di studio di centinaia di studiosi per anni, ma sopratutto opere che in se stesse riassumono al più alto vertice espressivo, il momento fondante del primo Rinascimento.

A pochi metri dalle formelle del concorso per la porta del battistero, nella terza sala, sovrastano i visitatori con la loro mole lo straordinario San Matteo del Ghiberti e il San Ludovico di Tolosa del Donatello, appositamente e meravigliosamente restaurato dall’Opificio delle Pietre Dure in occasione della mostra e qui esposto per la prima volta. “Intorno alla cattedrale – «erta sopra e’ cieli, ampla da coprire chon sua ombra tutti e popoli toscani», come scrive Leon Battista Alberti – nasce un nuovo linguaggio espressivo che trasforma la “Città del giglio” in capitale artistica del Rinascimento.” (B. Paolozzi Strozzi)

Queste sale preparano infatti a comprendere come nella capitale del Rinascimento sia proprio la scultura, e in particolare la statuaria, che eserciterà una profonda influenza sulla pittura dei massimi artisti del tempo come Masaccio, Paolo Uccello, Andrea del Castagno, Filippo Lippi (presenti in mostra) a portare le innovazioni che diventeranno successivamente identificative e caratterizzanti dell’arte di questo periodo.

Le ricerche di uno spazio “razionale” e l’invenzione della prospettiva brunelleschiana non arriveranno a essere espresse per la prima volta (come solitamente pensiamo) nella pittura, ma nelle opere scultoree, in particolare nei bassorilievi di Donatello come la predella del San Giorgio (straordinario esempio dello stiacciato, invenzione fortunatissima del maestro), e il Banchetto di Erode dal Museo di Lille, fino ad arrivare alle realizzazioni più tarde di Desiderio da Settignano o di Agostino di Duccio che si confrontano anche con i rarissimi esempi loro contemporanei di pittura antica.

Sempre poi nella sottolineatura del continuo rimando all’antico, non posso non citare l’interessante sezione intitolata “La rinascita dei condottieri” dedicata cioè ai grandi monumenti equestri, che bisogna però trovare fuori dalla città di Firenze, dove l’ideale repubblicano bandisce questo genere aristocratico. Ecco allora in mostra il bozzetto in gesso della testa del Gattamelata, attribuito a Donatello, restaurato appositamente per l’esposizione e proveniente dal Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte dell’Università degli studi di Padova  o  la straordinaria Protome Carafa del Museo Archeologico di Napoli, unico resto del Monumento di Alfonso V d’Aragona, che attesta sia la rinascita dell’uso del bronzo per celebrare la virtù militare, sia l’importanza dei modelli antichi.

La mostra si avvicina alla chiusura con una grande sezione (La diffusione della bellezza) dedicata alla produzione di rilievi raffiguranti la Madonna col Bambino, basati su modelli dei maggiori artisti fiorentini, come ci mostra la presenza di alcune opere dalla commuovente bellezza e solitamente mai esposte insieme come le donatelliane Madonna Pazzi, dal Bode Museum di Berlino, la Madonna in terracotta policroma del Louvre e la Madonna Chellini, dal Victoria and Albert; la ghibertiana Madonna Kress, dalla National Gallery di Washington, o la Madonna già attribuita al Brunelleschi e qui a Nanni di Banco, dal Museo Diocesano di Fiesole. Un modello che si replicava in continuazione, quello della madonna con bambino, attraverso l’uso più fantasioso dei materiali, a partire dal marmo fino ad arrivare allo stucco e alla terracotta policroma e invetriata.

Se le prime sale si erano aperte con il modello ligneo della cupola di Brunelleschi, l’ultima si chiudono invece, come scrive Beatrice Paolozzi Strozzi, “con la citazione della più illustre dimora privata del Rinascimento”, lo stesso Palazzo Strozzi dove è allestita la mostra, attraverso il modello ligneo che ci spiega come attorno alla metà del Quattrocento lo spirito repubblicano, che aveva determinato la fioritura di grandi opere scultoree e di monumentali cicli di affreschi, si affievolisce progressivamente in favore di un’arte che ricerca la magnificenza e che diviene prerogativa dell’oligarchia cittadina.

Straordinario l’allestimento, che se ad un primo sguardo può sembrare povero e male organizzato, è invece dotato di una estrema chiarezza e leggibilità che accompagna il visitatore nelle accurate e mai scontate scelte di curatela, sopratutto attraverso una bella illuminazione, realizzata secondo il sito internet della fondazione, “da tecnici che lavorano anche per il mondo teatrale” e che MAI, e sottolineo mai, crea ombre o riflessi sulle opere o sulle vetrine, rendendo difficoltosa l’osservazione.

Buona l’audioguida, anche se essendo un po troppo specifica fa perdere al visitatore più disattento, il filo rosso dell’esposizione, ma da agli esperti interessanti spunti di riflessione frutto di recentissimi studi. Ottimo, gentile e preparato il personale di sala e quello della biglietteria.

Insomma nella città dove della cultura si fa mercato, dove il Brutto sembra sul punto di oscurare la bellezza di un glorioso, ma sopratutto sfruttato, passato, ogni tanto una fondazione decide di puntare su una mostra di qualità e così, per una volta, Firenze è meno povera, triste, provinciale, ma sopratutto, volgare.

A presto

 Info MOSTRA

“La primavera del Rinascimento; la scultura e le arti a Firenze 1400-1460”

Palazzo Strozzi, Firenze

23 marzo 2013 – 18 agosto 2013

Prezzo:

INTERO: 12,50 euro

Ridotto: 8,50 euro

Audioguida in più lingue singola € 5,00

Orari:

Tutti i giorni 9.00-20.00

Giovedì 9.00-23.00

Accesso in mostra consentito fino a un’ora prima dell’orario di chiusura.

Organizzatore: Fondazione Palazzo Strozzi – Musèe du Louvre

(www.palazzostrozzi.org)

Catalogo: Mandragora editore

Ecco una bella Galleria fotografica della mostra dove potete vedere alcune delle opere che ho citato e l’allestimento delle sale:

http://multimedia.quotidiano.net/?tipo=photo&media=57179

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