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Napoli si ricerca a Torino.

L’italiano è una lingua complessa, ma proprio la sua complessità (come nel latino d’altronde) ci permette di cogliere le più piccole sfumature e differenze di significato. E, così, una basilare conoscenza della lingua ci permetterebbe di capire la differenza che intercorre tra la parola “esposizione” e la parola “ostensione”.

Il vocabolario (questo sconosciuto) definisce la parola esposizione come una mostra pubblica di opera d’arte o come una “presentazione esauriente condotta a scopo informativo”, mentre fornisce una connotazione prettamente religiosa per l’ostensione, cioè l’esposizione ai fini religiosi, priva di domande e comprensione, ma carica invece di estatica contemplazione dogmatica. Due concetti vicini ma contemporaneamente, specie nel mondo della storia dell’arte, opposti. Le mostre, trasformate in grandi eventi, si sono sempre più allontanate dall’essere delle presentazioni esaurienti condotte dietro un preciso e studiato percorso di ricerca, per diventare invece delle grandi cerimonie pubbliche prive di un vero significato o valore, caratterizzate dall’ostensione (priva di comprensione) del singolo capolavoro. L’emozione che si sostituisce al metodo critico e razionale, la sospensione della ragione a favore della mera contemplazione.

Giovanni Ricca (Napoli 1603 – 1656?)  Santa Caterina d’Alessandria, 1630 - 1634 circa Olio su tela, 102 x 76 cm Torino, Palazzo Madama, inv. 695

Giovanni Ricca (Napoli 1603 – 1656?)
Santa Caterina d’Alessandria, 1630 – 1634 circa
Olio su tela, 102 x 76 cm
Torino, Palazzo Madama, inv. 695

L’ostensione di singole opere, decontestualizzate, esaltate e imbellettate è la nuova moda del panorama espositivo, eppure per realizzare un serio progetto (una mostra e non una ostensione), bastano poche opere e una seria ricerca. Prova di ciò è la piccola, ma qualitativamente altissima, mostra torinese del civico museo di Palazzo Madama, cresciuta intorno alla recente acquisizione di una Santa Caterina d’Alessandria, ora restituita, dopo una complessa vicenda critica, al pittore napoletano Giovanni Ricca, “un artista inserito in quel processo di rinnovamento in senso pittoricistico del naturalismo meridionale legato essenzialmente alle sperimentazioni cromatiche condotte da Ribera a partire dagli anni Venti del Seicento” (Giuseppe Porzio).

Con 11 opere la mostra “Intorno alla Santa Caterina di Giovanni Ricca. Jusepe de Ribera e la pittura a Napoli” chiarisce credibilmente, e con estremo rigore, un quadro artistico complesso e ancora da dipanare, affrontato recentemente dal curatore della mostra (Giuseppe Porzio, docente dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”) in una corposa e lodevole pubblicazione edita da ARTE’M e dedicata proprio alla scuola del Ribera.

Partendo dall’Adorazione dei Magi del Maestro degli Annunci ai Pastori della Collezione Banca Intesa di Palazzo Zevallos Stigliano a Napoli, autore spesso arditamente avvicinato al brindisino Bartolomeo Passante (circa 1618-1648) o al valenzano Giovanni Do (1601-1656) e passando poi a due opere del belga Hendrick de Somer (Tobia che ridona la vista al padre, sempre della Collezione partenopea di Banca Intesa, e Mosè da una collezione privata) solitamente sovrapposto o scambiato per il Ricca, la mostra entra a gamba tesa nel fulcro delle questioni attribuzionistiche con il fruttuoso confronto tra la Santa Caterina e due delle rare opere documentate dell’artista: la bellissima pala del 1634 con Sant’Elisabetta di Ungheria e Santa Francesca Romana (riferimento antequem per l’esecuzione delle altre opere esposte del maestro napoletano) e la Giuditta con la testa di Oloferne del Museo Diocesano di Salerno.

Maestro degli Annunci ai pastori Adorazione dei Magi, 1635 – 1640 circa Olio su tela, 127 x 180 cm Collezione Intesa Sanpaolo Gallerie d’Italia - Napoli, Palazzo Zevallos Stigliano

Maestro degli Annunci ai pastori
Adorazione dei Magi, 1635 – 1640 circa
Olio su tela, 127 x 180 cm
Collezione Intesa Sanpaolo
Gallerie d’Italia – Napoli, Palazzo Zevallos Stigliano

Il confronto appena citato e l’affiancamento di una differente Santa Caterina d’Alessandria di una collezione privata, per la prima volta presentata al pubblico come opera del Ricca, permettono di comprendere la produzione del napoletano e di esporre quel “repertorio di sante a mezza figura che coniugano naturalismo e classicismo con risultati di eccezionale eleganza”, distinguendolo pacatamente dall’irpino Francesco Guarino (assieme ad Aniello Falcone e Francesco Fracanzano facente parte di quegli artisti della cerchia di Ribera più legati alla componente del colorismo).

Giovanni Ricca (Napoli 1603 – 1656?)  Santa Caterina d’Alessandria, 1630 – 1634 circa Olio su tela, 73 x 62 cm Collezione privata

Giovanni Ricca (Napoli 1603 – 1656?)
Santa Caterina d’Alessandria, 1630 – 1634 circa
Olio su tela, 73 x 62 cm
Collezione privata

Un solo Ribera viene a rappresentare, in mostra, il maestro e il suo naturalismo, intorno a cui si svolge l’attività artistica di tutti i membri dell’esposizione. Un naturalismo quello del Cristo alla colonna della Galleria Sabauda (come scrive Clelia Arnaldi di Balme nel piccolo ma indispensabile catalogo) “declinato da ciascuno in maniera personale: il vigore materico del Maestro degli Annunci ai pastori, l’eleganza di Francesco Guarini o il caravaggismo luministico di Matthias Stom”. Ne risulta, anche grazie alla pubblicazione piccola, ben scritta ed economica, una nuova immagine di Giovanni Ricca, la correzione della prospettiva data da Ferdinando Bologna (“che aveva sovrapposto la fisionomia del Ricca a quella del riberesco sui generis: Hendrik De Somer”) e la ricostruzione (seppure ancora assai esigua) del corpus di opere realizzate da un artista protagonista della scena pittorica del primo Seicento napoletano.

Dispiace solo per un allestimento, sicuramente pensato, ma davvero poco curato e per il contemporaneo evento “emozionante” a Napoli. Perché nessun prestito è scevro da un “controprestito”, e così Palazzo Madama si è privato del suo preziosissimo Ritratto d’uomo di Antonello da Messina, per renderlo oggetto di una ostensione priva di ricerca presso Palazzo Zevallos Stigliano di via Toledo.

Giovanni Ricca (Napoli 1603 – 1656?)  Giuditta con la testa di Oloferne, 1630 circa olio su tela, 103 x 76 cm Salerno, Museo Diocesano, inv. 52

Giovanni Ricca (Napoli 1603 – 1656?)
Giuditta con la testa di Oloferne, 1630 circa
olio su tela, 103 x 76 cm
Salerno, Museo Diocesano, inv. 52

Se a Torino si è realizzata un’esposizione di tutto rispetto e di grande valore, a Napoli si è semplicemente organizzata un’ostensione del capolavoro. Eppure con pochi mirati prestiti locali si sarebbe potuto realizzare un progetto di ricerca sulla giovinezza del messinese e sull’ambiente napoletano (come la bottega di Colantonio) dove egli si forma e a cui è ascrivibile la piccola tavoletta sabauda. Ancora una volta Torino sembra non dimenticare piccoli eventi di qualità, mentre Napoli si accoda alle sciocche ostensioni natalizie di singole opere, imitando (ahimè con successo) la sciagurata tradizione milanese di Palazzo Marino.

 A presto


FOTO DI COPERTINA: Giovanni Ricca (Napoli 1603 – 1656?), Martirio di sant’Orsola, 1633 – 1634 circa, Olio su tela, 123 x 155 cm, Fondazione De Vito.

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